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venerdì 4 febbraio 2011

Le prediche al Faraone



Vogliamo sempre spiegare agli altri cosa fare : siamo predicatori.


In Egitto, come in tutto il nord-Africa e il medio-oriente arabi, ci sono ormai da decenni ( e,se si sale nella loro storia antica ,da secoli )regimi autoritari, forti delle loro armate, delle loro “monarchie” o delle loro “teocrazie”. Con questi regimi il mondo, tutto il mondo , Europa e Stati Uniti compresi, hanno sempre lavorato.

Improvvisamente , grazie anche alla lotta di popoli contro la povertà, l’ Occidente sembra aver scoperto in alcuni “amici”, fino a ieri onorati e riveriti, degli sporchi dittatori. Nella storia il “tradimento” non è una novità ; anzi è più la regola che l’eccezione.

In Egitto l’Occidente si è mescolato, con bordate diplomatiche e giornalistiche contro Mubarak. La vecchia “autodeterminazione dei popoli “ è andata in soffitta. Il nostro alto ideale è quello che tutti siano organizzati politicamente come noi. A parte il fatto che molti dei nostri sistemi politici sono in profonda crisi democratica e rappresentativa, la lettura di sistemi politici con occhi stranieri può essere sempre un grande errore. Nel concreto ; cosa vogliamo noi in Egitto? Diciamo quello che non vogliamo ; si fa prima. Non vogliamo un Paese “belligerante”, soprattutto nei confronti di Israele . Non vogliamo un Paese “teocratico”, destabilizzatore del pacifico e libero confronto religioso tra i popoli. Non vogliamo un Paese in guerra civile nel civilissimo mediterraneo , ai confini con il confronto ,anche armato, tra israeliani e palestinesi. Ecco tutto questo non vogliamo.

Si dice che quando Bush chiamò alla guerra contro l’ Iraq di Saddam, Mubarak era contrario ; e consigliò a Bush di fare una guerra lampo , di prendere Saddam e il suo clan, di cacciarlo via e di trovare un generale da mettere subito con le forze armate a capo dell’Iraq. Questo è il generale di aviazione Hosni Mubarak .

Cosa sta succedendo in Egitto ? C’è una ribellione dei poveri ; c’è una ribellione di giovani che vogliono la libertà, imparata soprattutto grazie alle televisioni satellitari e internet ; c’ è una ribellione di “minoranze” politiche, contro il sistema Mubarak; c’ è una ribellione di integralisti religiosi contro un sistema militare laico. Ma c’è anche chi naturalmente difende il sistema attuale militare, burocratico, con reti industriali, finanziarie, turistiche e commerciali . Quindi ci sono tutte le condizioni per un pericolo di guerra civile.

I giornalisti occidentali, in gran parte abbarbicati alle finestre , fanno il tifo contro Mubarak : ma anche contro gli integralisti religiosi ; quindi gli uni e gli altri tendono a prenderli a calci sul sedere. Sembrano poco cronisti e molto partigiani.

La democrazia e soprattutto la nostra democrazia non è esportabile, a meno di non fare quello che una volta veniva chiamato prima colonialismo e poi imperialismo. Chi ha provato a discutere a fondo con gente di Paesi che non hanno mai conosciuto elezioni o parlamenti come i nostri, si è reso conto che frammenti di democrazia si trovano anche nella dittatura del proletariato o nei sistemi imperiali ; il fatto più importante è il rispetto della storia e dei valori e della volontà dei popoli ( dei popoli e non delle piccole avanguardie politiche o religiose) .

L’Egitto scelga quello che vuole il popolo egiziano , ma non le sue avanguardie, talvolta supportate e capite soprattutto da noi ,laici occidentali, ma anche da teocrati integralisti mussulmani.

La transizione per un nuovo equilibrio deve essere scelto dalle diverse forze in campo oggi in Egitto; compresa quella al potere , cioè quella militare, che era di Mubarak.

Le prediche dell’ Europa e degli USA rischiano di essere patetiche, se non fosse per la loro pericolosità quando sono dirette contro l’autodeterminazione egiziana ( e se gli egiziani volessero continuare ad essere governati dalle proprie “eroiche” forze armate; oppure dai barbuti islamisti; saremmo titolati a intervenire noi, non egiziani ? ); e anche ridicole , quando toccano i tasti etici, come la corruzione di sistemi che siamo noi stessi , europei e americani, a corrompere; o quando tifano per un candidato di origine egiziana, ma “austriaco” ( come lo chiamano gli stessi egiziani) per vita, interessi culturali e professionali. No, l’autodeterminazione dei popoli deve essere difesa e aiutata, anche se richiede grande pazienza e soprattutto grande apertura intellettuale ; i tifosi devono limitare il proprio attivismo al mondo sportivo; non sono sopportabili nel mondo della ragione , della storia e dei rapporti tra i popoli.

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