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lunedì 7 dicembre 2015

Marine Le Pen taxi per una nuova Francia



Alle elezioni regionali francesi ha vinto l’”estrema destra” ? Non sembra proprio. Intanto il 50% degli aventi diritto non ha votato ; e il partito dei non votanti continua ad essere largamente maggioritario ; è il partito del qualunquismo, dell’egoismo, dello scetticismo, della protesta ; e non dell’assenza.
Si è trattato di elezioni regionali ( oltretutto in regioni ridotte da 22 a 13, con forti dissensi “campanilistici” ), con scarsi effetti “amministrativi ; le regioni amministrano sostanzialmente i licei e le scuole superiori, la formazione professionale, i trasporti locali e hanno un ridotto budget per incentivi ad imprese locali . Ma queste elezioni hanno avuto una grande importanza per testare l’”umore” della gente , in una situazione particolarmente complessa per la Francia, come quella attuale. Risultato di questo test ?
  • I francesi non credono più nelle loro attuali forze politiche convenzionali “destra” e “sinistra “ ( assieme non sono arrivate al 25% degli aventi diritto al voto !).
  • Premiano ,come Partito, il Front National (FN) che fu partito nostalgico della Francia coloniale e che ora è forza politica di nuova protesta popolare ( 42 % degli operai, 39% dei giovani tra i 18 e i 35 anni ed è arrivato in testa nel 53,5% dei comuni dove si è votato ) ; è un Partito nazionalista (la mondializzazione deve essere negoziata ), con frontiere in un’Europa delle Nazioni ( tanto cara a De Gaulle ) ; è un Partito oggi seguito dai ceti produttivi ( operai ,piccoli imprenditori, artigiani e commercianti ) e dai giovani , che rifiutano in gran parte le ideologie del passato e soprattutto l’establishement destra – sinistra , ai loro occhi , ingessato , noioso, annacquato, insignificante e poco francese.
  • Il vecchio establishement sta ora seriamente pensando di interrompere il rito della vetusta dialettica destra-sinistra, per proporsi unito ( socialisti-repubblicani )al ballottaggio finale di queste regionali , al grido di “tutti insieme contro l’estrema destra” . In effetti il sistema elettorale francese per le regionali premia la lista del vincitore con un 25% dei seggi in più, lasciando alla suddivisione proporzionale tutti gli altri seggi per i partiti, che abbiano superato il 10% dei voti al primo turno ( cioè quasi nessuno ; forse, in una regione, solo i verdi ). Già nelle due regioni dove il FN ha superato il 40% dei voti , il segretario socialista ha proposto di ritirare il proprio candidato per battere con un “fronte repubblicano “ il FN. Questa scelta non piace a molti socialisti e a molti repubblicani, che non vogliono rinunciare ai loro seggi nei parlamenti regionali ; ma neanche alla loro voce in quelle assemblee ( già ha cominciato il candidato socialista in Alsazia-Lorena, che ha detto che non si ritirerà al secondo turno ). In effetti oltre a perdere i seggi , gli eventuali rinunciatari perderebbero anche la faccia , avendo spesso lottato per una vita intera contro un avversario , con cui dovrebbero ora fare l’accordo. Non è da sottovalutare la posizione dei centristi ( Udi e Modem ) , schierati nel primo turno con i Repubblicani e ora pronti all’accordo con i socialisti per battere il FN, nella difficile difesa delle postazioni in prima linea , contro la discesa dei “barbari “, chiamati “estrema destra”.
La Francia deve ricostruirsi : ecco il messaggio, che si è profilato in questo test elettorale. Ha problemi economici e sociali gravissimi ; ha problemi di identità nazionale , mai secondari in queste terre antiche ; ha problemi di sicurezza , che esplodono quasi quotidianamente , al di là delle stragi degli ultimi tempi. E’ un grande Paese che comincia a detestare la piccola politica , quella degli Hollande e dei Sarkozy , con i loro cari ; stanno cercando idee nuove e coraggio ( non a caso Hollande è stato apprezzato quando è uscito dal guscio delle frasi fatte in occasione dell’attentato del 13 novembre ) ; non ne possono più di un establishment multiculturale, multietnico , “euro-dipendente”, poco “francese”, ma soprattutto conservatore nei fatti ; la Francia d’ “en bas” dei più , si sta rivoltando contro la Francia d’ “en haut”, degli aristocratici dello Stato e della politica . Il FN , con la Le Pen e i suoi cari, forse non sarà la soluzione ; ma sta cominciando ad essere utilizzato come un taxi verso la soluzione. L’avvio di un cambio di rotta politica è stato dato, forte e chiaro : chi ama e rispetta questo Paese deve rendersene conto.


7 dicembre 2015                                             Marcello Inghilesi

Pubblicato da Formiche.net il 7 dicembre 2015

venerdì 16 ottobre 2015

Basta menar le mani

La lotta sociale in Francia sta imbarbarendosi. Il 5 ottobre scorso due dirigenti di Air France sono stati aggrediti , strattonati , malmenati e hanno rischiato di farsi linciare da un gruppo di scioperanti dell’ Azienda , in prevalenza CGT ( CGIL transalpina ). Le immagini del direttore del personale con la camicia strappata a cavallo di una rete metallica, in fuga dai rivoltosi, ha fatto il giro del web. Qualche tempo fa alcuni dirigenti di un’altra azienda furono sequestrati nei loro uffici e presi in ostaggio , durante una vertenza sindacale. E molti episodi di violenze di questo tipo si stanno ripetendo da qualche tempo in Francia.
Il 5 ottobre il Comitato Centrale di Impresa di Air France stava discutendo sul futuro dell’azienda ; un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione nella sala e ha violentemente interrotto la riunione ; si è detto che la discussione avrebbe trattato il problema di 2900 esuberi in azienda , da studiare e approfondire. I direttori presenti sono scappati ; due di loro sono stati presi e sono infine riusciti a fuggire, malconci. Sette persone sono rimaste ferite. Cinque dipendenti filmati nelle violenze sono stati arrestati e andranno a processo il 2 dicembre prossimo.
Ora il problema è diventato politico ; perché la CGT considera scandalosi questi arresti ; perché il leader del Partito della Sinistra , Jean Luc Melanchon , ha dichiarato in TV , che questi arresti sono vergognosi; che lui è pronto ad andare in prigione con i cinque ; che “per il momento è stata solo strappata una camicia ; ma la camicia è ancora nulla…”. Melanchon, naturalmente laureato in filosofia , pied noir nato a Tangeri da genitori spagnoli, di mestiere ha fatto solo politica ; per tutta la vita ha solo cercato voti “de sinistra”, per così dire ; e continua a cercarli. Un sondaggio fatto ieri dice che il 67 % dei francesi condanna l’accaduto , l’8% approva l’operato degli arrestati , il resto condanna , ma capisce. In sostanza il 10 % dei francesi sarebbe d’accordo nel menare le mani , su problemi sociali ( attenzione che in questo caso non c’era neppure una vertenza aperta ; solo un problema da studiare e valutare ) . Il Governo ha tenuto una linea dura nel condannare le violenze , anche se invita l’azienda al dialogo sull’argomento ( ovviamente).
Perché il fatto merita attenzione ? Eravamo convinti in molti che la violenza nei dibattiti e nei conflitti sociali fosse ormai bandita. Purtroppo non è più così ; e dobbiamo batterci per riconquistare il diritto al libero confronto, anche su questioni vitali come quelle legate al lavoro. A cominciare dal rispetto dei quadri e dei dirigenti che lavorano e sono dipendenti ; ma per finire anche al rispetto di quelli che una volta si chiamavano “padroni” e che oggi sono imprenditori , impegnati in larghissima parte nel lavoro aziendale. Dopo la seconda guerra mondiale in molti Paesi europei ci fu nella sinistra il dibattito su “riforme e rivoluzione “( si veda tra tutti Antonio Giolitti ,Einaudi 1957 ); nel 68 alcuni giovani idealisti riproposero le idee rivoluzionarie , che finirono per trasformarsi rapidamente in azioni terroristiche . Il romanticismo del Che in Europa rimase romanticismo. Credevamo che il riformismo, liberale o socialista che fosse, avesse chiuso il capitolo della violenza sociale o politica. Questi fatti odiosi , accaduti in Francia, non devono essere considerati marginali e non possono essere sostenuti a cuor leggero ad una parte politica e sindacale di una repubblica libera e democratica . Anche perché si innestano in situazioni di violenza internazionale, economica e religiosa, che hanno sempre più pesanti implicazioni nei Paesi della vecchia Europa . La miscela delle violenze “esterne” con quelle “interne”, può avere effetti devastanti per la tenuta democratica di tutti i nostri Paesi. La “repressione”può essere pericolosa. E’ necessario che le imprese , il sindacato, la politica condannino , senza incertezze , la violenza nei conflitti sociali ; la condannino nella pratica ; non solo nelle dichiarazioni . L’incitazione alla violenza alla Melanchon ( che ancora vuol giocare alla rivoluzione ) è nemica dello Stato , libero e democratico, anche quando deve affrontare il problema di 2900 soppressioni di posti di lavoro; non c'è populismo o ricerca di voti che tengano.
                                                                                       Marcello Inghilesi
Pubblicato da Le Formiche il 16 ottobre 2015
       

martedì 8 settembre 2015

Immigrati e Siria




Perché c’è la corsa ad accogliere i profughi siriani

08 - 09 - 2015Marcello Inghilesi
Perché c'è la corsa ad accogliere i profughi siriani
Welcome! hanno urlato austriaci e tedeschi ai poveri siriani (e non) scappati (forse) da pene, violenze, schiavisti e guerre. Non lo avevano fatto prima al Brennero (e i francesi a Ventimiglia) e non erano scesi neppure in Sicilia in macchina ad accoglierli, come hanno fatto alla frontiera con l’Ungheria. Ma in Sicilia i siriani erano pochissimi e gli africani moltissimi. (Anche il Papa ha promesso oggi alloggi ai siriani, magari islamici, ma non agli africani, magari cattolici: perché?)
Questa politica tedesca, subito seguita da quella francese e anche da quella inglese, da un lato lascia stupiti, dall’altro puzza, appare pelosa. Esistono tre piani sui quali ragionare.
Quello umanitario. Abbiamo il dovere di aiutare sempre chi ha bisogno; tanto più chi è caduto nel bisogno, a seguito di guerre o porcherie umane. Questo dovere spetta anche agli Stati? Mai nella storia è stato possibile avere uno Stato “buono”, capace di aiutare tutti i bisognosi a lui rivoltisi; mai: neanche gli Stati religiosi, teocratici, socialisti o comunisti, internazionalisti; degli Stati “liberali” non parliamo neppure. E mai sarà possibile; perché uno Stato nasce da un contratto di convivenza di una collettività determinata (che il più delle volte ha una sua forma “costituzionale”), spesso nazionale, talvolta federale, ma mai universale.
Quello politico. La situazione delle guerre e delle miserie, nelle aree da cui provengono quasi tutti i migranti di oggi, è molto variegata e complicata. Ma un denominatore comune può essere trovato negli errori politici e negli interessi delle grandi “potenze” mondiali, affiancate dai loro amici, congiunturali o storici. Gli americani, da lontano, fanno valere i  loro interessi di politica estera (divide et impera nel mondo arabo) ed economica (controllo delle aree petrolifere ed energetiche medio-orientali). Gli europei fanno confusione; basta solo guardare cosa hanno fatto in Libia e Siria, per capire come politiche spesso nazionalistiche, ma sempre sconclusionate, si traducano in tragedie umanitarie, senza precedenti: in Siria la Francia di Hollande sostenne nel 2013 la guerra civile, contro Assad, con un assurdo e complice silenzio della UE; oggi la stessa Francia di Hollande ha deciso di mandare aerei a combattere contro l’Isis – che con gli americani hanno contribuito ad armare – e quindi a difesa di Assad.
Gli europei, in questi ultimi anni, hanno lanciato iniziative destabilizzanti, senza mai prevedere i punti di caduta: errore politico imperdonabile (un Maestro diceva: mai cercare di andare da A a B, se non si è sicuri che B sia meglio di A). I russi sembrano restare alla finestra, con un loro nazionalismo fatto di grande concretezza, assediati da una Nato, che appare sempre più equivoca e inutile. Pronti ad intervenire sugli errori degli altri; come peraltro i cinesi.
Quello economico. Sembra oggi fortemente connesso con quello politico. L’obiettivo delle grandi potenze rimane il controllo delle aree energetiche e di quelle con materie prime di interesse essenziale per la loro vita e il loro sviluppo. Oggi se non ci fossero più petrolio e gas in Arabia Saudita, in Iran e nei Paesi del Golfo, probabilmente le guerre diventerebbero solo tribali, fino a svanire nella povertà dei deserti. Le armi, gli arsenali militari e tutti gli strumenti di difesa (più spesso offesa) bellica provengono dalle aree di queste grandi potenze; e contribuiscono a mantenere questa instabilità drammatica che stiamo vivendo.
A seguito della fotografia del cadavere di un bambino reso dal mare, dopo un tentativo di fuga dalla guerra siriana, l’Europa si sta muovendo. Col cuore e senza cervello? Non è detto. Avere scelto i siriani come immigrati da accogliere a braccia aperte può non essere casuale. Essi non sono moltissimi (qualche centinaio di migliaia sono integrabili; per esempio, i francesi si sono oggi impegnati per 24 mila in due anni; gli inglesi per 20 mila in 5 anni; e i tedeschi per ora non hanno messo limiti). Possono essere usati come strumento per aiutare a trovare una soluzione al problema siriano, che metta d’accordo russi, iraniani, americani e israeliani. Non presentano fanatismi religiosi. Sono preparati e quindi facilmente impiegabili nelle economie europee. E un giorno potrebbero anche rientrare in una Siria pacificata e in sviluppo. In particolare la Germania ha bisogno di manodopera seria e a basso costo (non dimentichiamo la elasticità del mercato del lavoro tedesco rispetto a quello di molti altri Paesi UE); e potrebbe averla trovata, facendosi oltretutto paladina del buonismo internazionale (precedendo addirittura il Papa).
I nostri immigrati, africani, poveri e islamisti, interessano meno o nulla. Si sente odore di un certo razzismo in tutta questa vicenda “buonista” europea (a proposito, ma le Nazioni Unite si sono forse evaporate, con i soldi di 193 Stati, che le finanziano per la pace nel mondo?).

domenica 26 luglio 2015

Da Babilonia a Arezzo


De l'empia Babilonia, ond'è fuggita
ogni vergogna, ond'ogni bene è fòri,
albergo di dolor, madre d'errori,
son fuggito io per allungar la vita.
Francesco Petrarca Canzoniere 114

lunedì 20 luglio 2015

Centristi e movimentisti

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti

19 - 07 - 2015Marcello Inghilesi

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti
Esistono ancora destra e sinistra? Comunisti e fascisti? Socialisti e liberali? Democristiani?  No, non esistono più: anzi forse esistono solo nella testa di qualcuno come “categoria” polemica di scontro, quando le argomentazioni finiscono.
Possiamo anche generalizzare; nelle democrazie occidentali, con il crollo del muro di Berlino, è andata via l’altra metà del cielo delle ideologie. Quelle rimaste si sono rattoppate, hanno fatto finta di esistere, hanno cercato riparo in alcuni gruppi di nostalgici; ma sono state spazzate via dal voto, ma anche dal non voto; il qualunquismo non è stato più considerato pericoloso. Il pericolo comunista svanito, di tutto il resto si può discutere o non discutere, “laissez faire” (anche se lascia fare- lascia fare, trovò la moglie incinta). Ha vinto il pragmatismo; la politica è la soluzione dei problemi emergenti di volta in volta, con chi ci sta; le soluzioni possono essere diverse, ma assolutamente non toccano il sistema: liberal-democratico-capitalista- mondialista. Il dirigente politico non dirige; è diretto dai sondaggi e dalle congiunture; non ha visione, ha solo vista e talvolta, purtroppo, neanche quella.
Si divide dagli altri sul potere e sulle scelte congiunturali, chiamando “grandi riforme” solo leggi e regolamenti, capaci di garantire il tran-tran del momento; e spesso queste divisioni cessano al minimo stormir di fronde. Il patto del Nazareno in Italia; Hollande che viene eletto in Francia contro madame la Finance europea e dopo tre mesi è a braccetto con la Signora, che ha cambiato cavaliere (Sarkozy è stato riconsegnato alla legittima Carlà); la Merkel che in Germania non ha vinto le elezioni e quindi si è dovuta alleare ai suoi oppositori socialdemocratici;  Cameron che ha vinto le elezioni su laburisti ormai quasi indistinguibili dai conservatori  e che indice referendum sull’Europa, in accordo con i laburisti; Obama che si dichiara l’erede di Reagan e Nixon; Putin tutto liberal nazionalista; i rivoluzionari gauscisti brasiliani, subito vendutisi alla grande e storica borghesia del Paese; i dittatori militari o borghesi;  e poi i nazionalismi e regionalismi, quasi tribali, dilaganti in tutto il mondo; insomma famiglie di idee e ideologie spazzate via. Per non dire di religioni vendute per ideologie socio-politiche, ora più che mai attuali e tragiche.
Al governo del mondo c’è il pragmatismo con gli uomini o donne del momento, che sono stati capaci di occupare il potere, grazie a  trucchi, congiunture, fati, empatie, teocrazie, ma non ideali, visioni proposte storiche. In sostanza  al governo di questo mondo c’è un “centro” borghese, che comprende tutti, pragmatisti e relitti di destra e sinistra e che vince e rivince, colorandosi in un modo o nell’altro (grandi differenze non si vedono).
La protesta, il non voto, l’insofferenza al “sistema”, sono considerati orpelli, palle al piede necessarie in democrazia; ma mai elevate a pari considerazione politica. Ecco forse qui il centro borghese di governo, da una parte o dall’altra che sia , si sbaglia. Per i numeri; i “movimentisti” (chiamiamoli così) cominciano a essere tanti e spesso tanti più di loro, contando la protesta di quelli che non vanno più a votare; e i “tanti” prima o poi contano (si vedano le recenti consultazioni spagnole).
Per il consenso : una volta i gruppuscoli erano considerati più che altro sognatori; ora i “movimentisti” parlano di cose concrete, di scelte e di riforme radicali, spesso anche opposte le une alle altre ; quindi riescono a trovare consenso tra la gente che non ne può più delle meline tra “centristi”, in un periodo difficilissimo che richiede misure radicali (quelle che una volta Riccardo Lombardi chiamava “riforme di struttura”). Per la novità: ci sono moltissimi giovani impegnati; ci sono bisognosi e arrabbiati ;  ci sono dei resti di ideologizzati; ci sono degli orgogliosi campanilisti , regionalisti, localisti; ci sono movimenti e non partiti, con maggiore elasticità , minore impegno e quindi con una buona dose di qualunquismo, che oggi piace, nella sostanza (anche se non piace sentirselo dire).
Questo movimentismo contro i centri di Governo, comincia a contare soprattutto in un’Europa sbrandellata; e in un sistema in cui le burocrazie e le eurocrazie contano sempre più, con i governi centristi, cerchiobottisti (nel pieno della crisi greca, i capi dell’ambiente di Bruxelles decisero che il bestiame europeo emetteva troppi gas nocivi e quindi avrebbe dovuto smettere; il rimedio non è chiaro; l’abbattimento degli animali? Tappi? Dieta?).
In conclusione: non c’è più una destra e una sinistra, con ideali e progetti ; c’è in sostanza una forza borghese centrista , rappresentata una volta dagli uni, una volta dagli altri e, alla bisogna, da destra-sinistra assieme; e poi c’è un movimentismo di protesta che comincia prendere potere (anche amministrativo), che si fonda su proposte “eversive”, da un punto di vista centrista,  pragmatiche e concrete. Ecco: il pensare che il movimentismo anticentrista sia neofascismo o neocomunismo o nazismo o razzismo, non è il massimo della comprensione della società attuale ; anzi : è proprio una stupidaggine.
Si sente la mancanza di idee, di ideologie, di visioni, di strategie nazionali e internazionali; di quella che una volta era chiamata Politica, con la pi maiuscola; e chissà che i movimentisti non arrivino a capirlo prima dei centristi.
Pubblicato da "Le formiche "il 19 luglio 2015

domenica 19 luglio 2015

Traffici in Grecia

da Le formiche     
Tutte le trame (tedesche) della commedia greca
15 - 07 - 2015Marcello Inghilesi

Tutte le trame (tedesche) della commedia greca
La questione greca è paradossale. Tutti sembrano esultare per l’accordo; come dire: viva la “pace”. Ma questo accordo non può funzionare, perché i due contendenti (Germania e Grecia) non possono che fregarsi a vicenda; con gli altri intorno che, disarmati, fanno finta di non vedere.
La Germania cerca di raggranellare più soldi possibili dalla sua esposizione creditizia con la Grecia; sa che non sarà dal pil greco che questi soldi le ritorneranno; e quindi punta ai 50 miliardi previsti per le privatizzazioni (il calcolo dei 50 sembra un po’ astruso; ma insomma…). Poiché entreranno nel privato alcuni settori strategici per la Grecia (telecomunicazioni e trasporti, tra l’altro), la Germania forse spera di essersi anche conquistata uno sbocco al mare nel Mediterraneo. Per i tedeschi l’alternativa sarebbe stata il nulla; perdere i propri crediti e soprattutto spaccare la propria Europa. Gli argomenti della cancelliera Angela Merkel per il suo Parlamento dovrebbero essere più che convincenti.
Alexis Tsipras farà più fatica a convincere i suoi; forse non il suo Parlamento, poiché potrà racimolare voti dalle sue minoranze filo-europee; ma la sua maggioranza sembra già spaccata. Potrebbe ricucirla, spiegando dove potrà stare il trucco. Gli hanno detto che il Paese “monetario” è alla canna del gas; o entrano risorse dall’estero o i soldi in banca sono ormai finiti; e quindi il fallimento è in Grecia, prima che con gli altri Paesi. C’è sempre il dubbio che il convento sia povero e i frati ricchi, come diceva Rino Formica sui partiti politici, a cominciare dal suo. In effetti l’economia a nero in Grecia è enorme, tanto da non poter essere neppure immaginata (le cifre in proposito sono solo opinioni). Ma le banche sembrano essere ormai quasi vuote (non a caso sono chiuse).
In questa situazione Tsipras ha scelto la sopravvivenza: primum vivere deinde philosophare. Avere soldi il prima possibile da mettere in banca. Ma una cosa sembra sicura, stando alle cifre: che la Grecia non potrà restituire gli euro che si stanno cumulando nel suo debito estero; se le va bene ci dovrà convivere; se le va male, tra poco, si riaprirà la questione Grecia-Euro-Europa. Con fatica lo Stato è arrivato ad avere un avanzo primario leggermente positivo. Ma, qualsiasi cosa si inventi, non sarà mai così positivo da poter ripagare gli interessi cumulati, col debito. La triade lo sa benissimo e ha cercato solo di limitare il danno. Tsipras ha fatto lo stesso e ha rinviato la partita.
Si salva ora. Si destreggerà per non avere troppi danni su privatizzazioni, su eccessive intrusioni estere nella propria politica economica, su tasse smisurate, capaci di impedire qualsiasi accenno di sviluppo e si prepara al futuro. Quale? Dentro a questo “sistema” è condannato, senza alcuna via di uscita (a meno di un forte azzeramento del debito estero, per calcolo politico dei suoi creditori “pubblici”). Può tentare di creare un altro “sistema” e materia per lavorarci ne ha, essendo i confini del mondo sempre più vicini e le economie sempre più internazionalizzate. Chissà che non abbia in testa un trucco, un disegno per questo nuovo “sistema”. Bisognerà vedere anche e soprattutto se il popolo greco vorrà stare, ora e nel futuro, con questa Europa oppure no.
François Hollande ha celebrato il suo 14 luglio, festa nazionale, inneggiando a questo accordo dell’Europa con la Grecia, grazie soprattutto al suo lavoro di intermediazione. C’è veramente da festeggiare? O in realtà hanno fatto tutto “in scienza e coscienza”.

lunedì 6 luglio 2015

La Grecia


Articolo da "la terra di nessuno"5 LUGLIO 2015
DI VALERIO BRUSCHINI

Ricordando Omero e la battaglia di Maratona, io sto con la Grecia.
Ricordando Omero, il cantore cieco ed immortale della guerra di Troia;
ricordando la battaglia di Maratona, ove 10.000 Ateniesi
e 1000 Plateesi sconfissero i Persiani innumeri;
ricordando le Termopili, ove i 300 Spartani di Leonida,
insieme ai Tespiesi ed ai Tebani, morirono sul posto,
divenendo immortali, per bloccare lo sterminato esercito persiano;
ricordando la battaglia di Salamina, ove la flotta greca
distrusse quella persiana, vendicando Atene, data alle fiamme;
ricordando l’Impero Bizantino di lingua e cultura greca;
ricordando la lunga, 1821-1829, e sanguinosa Guerra d’Indipendenza
contro l’Impero Ottomano, quando Santorre di Santarosa e Lord Byron,
Europei di altro stampo, andarono a morire per la Grecia immortale;
ricordando la Gloriosa Resistenza contro il Nazifascismo,
infernale oppressore, ma dichiarato e non celato dietro il falso Dio del Libero Mercato;
ricordando Panagulis, gli studenti del Politecnico di Atene e tutte/i coloro
che combatterono contro l’infame Dittatura dei Colonnelli, 1967-1974,
quando l’Europa “democratica” finse di non sentire e di non vedere:
“Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il Russo, imparare il Bulgaro, la libertà di stampa, l’Enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Čechov, Gorki e tutti i Russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in Greco antico”
(Voce narrante da “Z – L’orgia del potere”),
quando gli Stati Uniti confermarono la loro “intima vocazione democratica”:
“L’ambasciatore USA ad Atene, Phillips Talbot, disapprovò il complotto militare, affermando che esso rappresentava “Uno stupro alla democrazia”, al che il responsabile della CIA ad Atene, Jack Maury, rispose:
“Come è possibile stuprare una puttana?”;
ricordando tutto questo e molto altro ancora,
IO STO CON LA GRECIA.

Ricordando Saffo ed i suoi amori;
ricordando Pindaro ed i suoi voli;
ricordando Eschilo, che cantò Prometeo, il Titano ribelle a Zeus per amore degli umani;
ricordando Sofocle, “che accecò” Edipo, per aprire gli occhi ai mortali;
ricordando Euripide, che cantò le Troiane, per illustrare il destino delle donne di un Paese sconfitto;
ricordando Aristofane, che affidò il Parlamento alle donne;
ricordando Socrate, Protagora, Gorgia, Platone, Aristotele;
ricordando Erodoto e Tucidide;
ricordando Fidia l’artefice del Partenone;
ricordando Prassitele e la sua Afrodite;
ricordando l’immortale Atene del V Secolo,
che, nel corso del Tempo, incivilì la barbara Europa;
ricordando Kavafis, l’ “Egizio”, che eternò la Grecia di ogni tempo;
ricordando tutto questo e molto altro ancora,
IO STO CON LA GRECIA.

E se, in questo 5 di Luglio di un’epoca sconsacrata,
poiché tutta la progenie dei numinosi Iddii
dell’Olimpo è stata esiliata,dovessero vincere gli gnomi di una finanza
senza volto, senza Storia e senza dignità,
IO STO CON LA GRECIA
ugualmente,
perché ha resuscitato quella Democrazia,
che lì nacque e che i loschi sacerdoti del Dio Mercato
avevano immolato sull’altare dell’immondo Profitto,
perché le sole battaglie perdute
sono quelle che non vengono combattute,
perché non la vittoria deve essere la bussola,
ma la Giustizia, Dike, dicono i Greci.

Germania e soldi

 

Quando la Germania era un debitore flessibile

23/02/2015  di Vincenzo Comito        
Tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco ha fatto default o ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte
È ben noto come la Germania abbia assunto un atteggiamento intransigente sulla questione del debito pubblico all’interno dell’eurozona e come essa tenda a spingere duramente perché i vari paesi adottino, per risolverlo, delle strette politiche di austerità, politiche che peraltro rischiano di uccidere il malato. Ne abbiamo avuto ancora una riprova con l’attuale crisi greca; nel corso dei negoziati i responsabili del paese teutonico sono stati i capifila e i portabandiera del partito dell’intransigenza, sino ad arrivare all’insulto verso un governo democraticamente eletto.
Ma da diverse parti, negli ultimi tempi, si tende a sottolineare come in passato il paese non sia stato quel campione di virtù che oggi cerca di apparire; in effetti, alcuni studiosi si sono chiesti quale sia stato in concreto, nel corso del tempo, il curriculum di tale paese sulla stessa questione ed hanno trovato degli elementi interessanti.
Si può cominciare ricordando come, certo, la gran parte dei paesi in tutte le regioni del globo sia passata attraverso una o più fasi di default, o comunque di ristrutturazione del proprio debito, nei confronti dei prestatori esteri, ma anche come la Germania sia stata tra i più assidui ad incappare in tale problema.
Apprendiamo così (Reinardt & Rogoff, 2009) che tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco, in effetti, ha fatto default o ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte nel periodo, come del resto la Francia e contro una sola volta per l’Italia e cinque per la Grecia. Va peraltro riconosciuto che i campioni europei in questo sport sono stati gli spagnoli, con ben tredici volte. I tedeschi hanno comunque conquistato un brillante secondo posto a pari merito con il paese transalpino.
La rivalità franco-tedesca e le riparazioni dopo la grande guerra
In un certo senso, la Germania ha cercato di sottoporre la Grecia allo stesso trattamento inflitto alla Francia dopo la guerra franco-prussiana del 1870, quando i cittadini transalpini, dopo la veloce sconfitta, furono obbligati a pagare un grande volume di danni di guerra, 5 miliardi di franchi, pari al 20% del pil di allora del paese; esso dovette inoltre cedere l’Alsazia, una parte della Lorena e dei Vosgi, ai vincitori, che comunque occuparono una vasta area della Francia sino a che non fu effettuato l’intero pagamento del debito, ciò che avvenne, con molta solerzia, nel 1873. Sempre i francesi furono inoltre obbligati a concedere ai nemici la clausola della nazione più favorita.
E viene la prima guerra mondiale. Come è noto, questa volta, alla fine, si rovesciano le parti, la Francia si trova nel rango dei vincitori e la Germania invece in quella degli sconfitti.
L’obiettivo fondamentale del primo ministro francese del tempo, Georges Benjamin Clemenceau, fu allora quello di vendicarsi della sconfitta del 1870 e di annullare praticamente i progressi economici fatti dalla Germania dopo quella data. Egli riuscì ad imporre rilevanti perdite territoriali al paese nemico e cercò parallelamente, nella sostanza, di distruggere, o quantomeno di danneggiare al massimo, il suo sistema economico.
Ecco che lo statista francese riesce ad imporre alla Germania anche il pagamento di danni di guerra molto ingenti. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti si accodarono alla fine alle richieste dell’alleato.
Il problema finanziario che si poneva era comunque abbastanza complesso. Da una parte stavano i prestiti interalleati fatti prevalentemente per acquistare le armi e gli equipaggiamenti relativi (la Gran Bretagna aveva preso a prestito dagli Stati Uniti, la Francia dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti), dall’altra il problema delle riparazioni tedesche a Francia e Inghilterra. Le somme in gioco erano enormi: i debiti interalleati erano stimati in circa 26,5 miliardi di dollari, la gran parte dei quali dovuti agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, mentre la commissione per le riparazioni del 1921 fissò in maniera definita, dopo vari summit preliminari che andavano più o meno nello stesso senso, il debito della Germania in 33 miliardi di dollari, la gran parte dovuti a Francia ed Inghilterra (Aldcroft, 1993). Tali riparazioni avrebbero dovuto essere regolate in rate trimestrali a cominciare dal gennaio del 1922.
Mentre la Francia legava le due questioni, dichiarando che il paese avrebbe ripagato i suoi debiti quando gli sarebbero stati versati i proventi delle riparazioni, la Gran Bretagna e gli Usa avevano chiaro che gli indennizzi non potevano superare certi limiti.
I dubbi di Keynes e i vari tentativi di ristrutturazione del debito
Nel 1919 Maynard Keynes aveva 36 anni e aveva partecipato alla conferenza di pace come rappresentante del governo inglese per le questioni finanziarie. Ma egli si dimise presto, essendosi trovato in totale disaccordo con l’impostazione che gli alleati stavano dando alla sistemazione dell’Europa dopo la guerra.
Egli pubblicò così subito dopo “Le conseguenze economiche della pace”, un saggio molto polemico contro la follia della “pace cartaginese” che i vincitori della guerra stavano, a suo dire, imponendo alla Germania. Le riparazioni avevano un onere finanziario, affermò l’autore, che la Germania non era in grado di sostenere (egli calcolò a questo proposito che il paese avrebbe potuto restituire, grosso modo, solo un quarto della somma stabilita) e previde lucidamente che le conseguenze del trattato di pace sarebbero state molto dannose per il futuro del continente.
I tedeschi cominciarono a versare le prime rate, ma nel corso del 1922 la situazione economica del paese si deteriorò rapidamente, con l’accelerazione dei processi di inflazione e di svalutazione della moneta; i tedeschi chiesero dunque una moratoria dei pagamenti, ma essa fu loro negata. Ma la Germania non era più in grado di pagare (Aldcroft, 1993) e, comunque, non fece nessuno sforzo per tentare.
Nel gennaio del 1923, i francesi e i belgi, di fronte al fatto che i tedeschi non pagavano le somme richieste, decisero di occupare la Ruhr. Ma tale mossa concorse a completare il collasso economico e finanziario della Germania.
Si stabilì, a questo punto, di convocare una conferenza internazionale, che si tenne a Londra nel 1924 e che diede origine al piano Dawes, dal nome del presidente della conferenza, un banchiere americano. Secondo questo piano, la moneta tedesca avrebbe dovuto essere stabilizzata dopo l’enorme livello raggiunto dall’inflazione e le truppe francesi avrebbero dovuto essere ritirate dalla Ruhr. Un flusso di aiuti americani alla Germania avrebbe permesso a quest’ultima di rimborsare i suoi creditori. L’importo totale dei debiti della Germania veniva lasciato quale fissato nel 1921, ma venivano allungati i tempi di pagamento.
Così nel periodo 1924-1930 la Germania prese a prestito soprattutto dagli Stati Uniti circa 28 miliardi di marchi e ne restituì ai paesi alleati come danni di guerra circa 10,3 (Aldcroft, 1993).
Ma, quando nei tardi anni venti, i prestiti statunitensi smisero di arrivare e molte banche straniere richiesero la restituzione di prestiti precedenti, la situazione si fece di nuovo difficile.
Un ulteriore accordo venne così negoziato nel 1929; era il piano Young, dal nome di un altro plenipotenziario statunitense. Il piano proponeva ormai una riduzione del totale del debito tedesco e degli importi da pagare annualmente.
La situazione economica internazionale intanto non fece funzionare l’accordo che per due anni. Nel 1931 la moratoria Hoover sospese per un anno i pagamenti, ma di fatto si trattò di una moratoria definitiva.
Alla fine gli Stati Uniti avevano ricevuto in restituzione dagli alleati circa 2,6 miliardi di dollari, contro crediti per prestiti ed interessi di 22 miliardi. La Francia a sua volta aveva ricevuto in pagamento dalla Germania circa un terzo dell’importo stimato dei danni di guerra (Aldcroft, 1993).
Le riparazioni dopo la seconda guerra mondiale
E viene poi la seconda guerra mondiale. Anche in questo caso, dopo la fine delle ostilità, si trattava di sistemare la questione delle riparazioni.
La conferenza di Postdam nell’agosto del 1945 fissò subito il principio delle restituzione dei danni di guerra e un accordo di base in proposito venne ipotizzato per le zone occidentali del paese nel 1950. Intanto era stato avviato il piano Marshall, con il quale gli Stati Uniti concessero al paese rilevanti somme di denaro per far ripartire la loro economia.
Furono gli Stati Uniti a guidare tutta l’operazione dei risarcimenti nel 1953, consci che fosse necessario aiutare la ripresa della Germania e dell’Europa dopo una guerra devastante, evitando di commettere gli stessi errori del primo dopoguerra. Pesava fortemente, peraltro, anche la volontà degli Stati Uniti di fare della Germania Occidentale un baluardo contro il blocco sovietico.
Così nell’agosto del 1953, dopo trattative durante diversi mesi, ventuno paesi firmarono a Londra un trattato, noto come London Debt Agreement, che consentì alla Germania di suddividere la questione in due parti. La prima corrispondeva ai debiti accumulati fino al 1933, stimati in 16 miliardi di marchi; fu consentito di rateizzare il loro pagamento in 30 anni, a tassi di interesse molto bassi, ciò che equivaleva alla pratica cancellazione dello stesso. L’altra parte, corrispondente ad altri 16 miliardi di marchi e che faceva riferimento ai debiti dell’epoca nazista e della guerra, avrebbe dovuto essere ripagata, secondo modalità da concordare, dopo l’eventuale riunificazione del paese. Ma nel 1990, a processo di unificazione concluso, il governo tedesco si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, a ragione in particolare dei costi che sarebbero stati necessari per risollevare economicamente la parte est del paese.
In ambedue le occasioni tra i creditori c’era anche la Grecia, che dovette accettare molto a malincuore tali decisioni.
La stessa Grecia ha sollevato a più riprese, ma invano, la questione dei danni di guerra subiti da parte della Germania. Tra l’altro, in effetti, nel corso delle vicende belliche il paese, occupato dai tedeschi, era stato costretto a prestare al Reich 476 milioni di reichsmark senza interessi. Tale somma corrispondeva ormai nel 2012, secondo alcuni calcoli, a circa 14 miliardi di dollari e a circa 95 miliardi se si calcolavano anche degli interessi al tasso molto ragionevole del 3% annuo. A fine 2014 la cifra totale dovrebbe aver superato i 100 miliardi di dollari.
La Germania si rifiuta a tutt’oggi di prendere in considerazione l’intera partita.

Testi citati nell’articolo
-Reinardt C. M., Rogoff K. S., This time is different, Eight centuries of financial follies, Princeton University Press, Princeton, N. J., 2009
-Aldcroft D. H., The european economy 1914-1990, Routledge, Londra, 3a ed., 1993

domenica 26 aprile 2015

Annunciazione Annunciazione


Annunciazione Annunciazione aveva detto che sulla legge elettorale bisognava trovare larghe intese , tra maggioranza e opposizione ; per questo incontrava il berlusca ; o no ? o per qualcos'altro ? Ora sembra che le larghe intese si siano ridotte alla Boschi e ai suoi cari ; e il resto sembra fuffa ...ricattatoria ( o così o vi mando tutti a casa ) I più penosi sembrano gli ex PCI ; "pionieri" ( i boy scout del partito) in punizione ; non si sono accorti che il Partito , il mitico Partito , non c'è più ; chi troverà il coraggio di dirlo loro ?

Annunciazione Annunciazione diventò Presidente il 22 febbraio 2014. Annunciò : febbraio : riforme istituzionali ;marzo : lavoro;aprile : pubblica amministrazione; maggio :tasse ; giugno :trippa ( no giugno è per ridere ). Da allora ad ora ha fatto fuori i comunisti, mentre stavano a guardare il dito del mese e non la luna del pastore errante di Leopardi.

Annunciazione Annunciazione quattro giorni fa annunciò che i lavoratori casertani della Whirlpool avrebbero mantenuto tutti il proprio posto di lavoro. La Whirlpool oggi ha annunciato che chiuderà Caserta. Magari tratterà con Annunciazione Annunciazione.

Annunciazione Annunciazione annunciò di aver trovato un tesoretto da 1,6 miliardi ; sembra che non ce l'abbia più ; qualcuno lo avrebbe cuccato.

Annunciazione Annunciazione annunciò che la riunione dei capi della UE sull'immigrazione è stato un passo da gigante ; la discussione ora è sul tipo di gigante , formica o mammut ? Nel frattempo l'esodo dei poveri verso i ricchi continua ; e all'orizzonte nessuno ha trovato tracce del gigante annunciato 

.Annunciazione Annunciazione, leader della cosiddetta sinistra, ha detto no al "capitalismo di relazione "; cioè ? qui in campagna non sappiamo cosa fare ; e voi in città ?


Annunciazione Annunciazione ha fatto un' altra riforma epocale : il Presidente italiano per la prima volta nella storia patria ha fatto pipi da una tuta mimetica a Herat in Afghanistan , dietro a una tenda militare e sotto stretta sorveglianza di forze internazionali; qualche piccolo inconveniente si è prodotto ; ma statesereni , anche se tutta non è arrivata in terra , la riforma è stata grande.

martedì 17 marzo 2015

Carlà- Battistì

Nicolas Sarkozy ( de Nagy-Bocsa, ungherese , immigrato in Francia di prima generazione ) chiede agli italiani di mettere una pietra sul passato e lasciar perdere il pluriomcida Cesare Battisti, condannato all’ergastolo in via definitiva in Italia. E perché mai , non è dato sapere. Curiosa richiesta questa di Sarkò , come se le vittime e i carnefici del terrorismo non esistessero più. E poi cosa c’entra l’ex Presidente francese con questa storia ?
Circola una leggenda in Francia : eccola.
Chirac nel 2004 si convinse a concedere l’estradizione del Battisti in Italia. Suo Ministro degli Interni era Sarkozy. Dal momento della decisione a quello della pratica estradizione doveva passare del tempo ; guarda caso Battisti scappò o, meglio, fu aiutato a scappare. Riemerse nel 2007 a Rio dove fu arrestato. Nello stesso anno Sarkò fu eletto Presidente della Repubblica ; si presentò agli elettori con una bella moglie , Cecilia Attias , da cui per la verità era separato: ma faceva “elettori” presentarsi all’americana , con la moglie a fianco. Subito dopo Cecilia Attias tornò negli Usa dove viveva con un altro compagno; probabilmente fu ricompensata per la recita. Nel 2008 Sarkò si sposò con Carla Bruni Tedeschi , nota modella italiana espatriata in Francia. Già espatriata : il padre Alberto era proprietario della Ceat gomme; nel 1972 vendé tutto nel timore , a suo parere fondato, che i brigatisti avessero messo nel mirino lui e la sua famiglia. Si trasferì a Parigi e in Costa Azzurra , a Cap Nègre, con la moglie e i tre figli, Virginio, Valeria e Carla. In quegli anni a Parigi si era formata una comunità di brigatisti di vari Paesi, ma soprattutto italiani, poi protetti dal Presidente Mitterand. Il machiavellico Presidente infatti ebbe un’idea assai semplice ; ospitare brigatisti stranieri ,offrendo copertura legale, per ottenere in cambio la pace in Francia , dove tra l’altro la violenza covava da tempo soprattutto per spinte autonomiste in Corsica, Paesi Baschi e Bretagna . Il Bruni Tedeschi, si dice , cercò contatti con i brigatisti italiani di Parigi per avere “protezione”; e sembra che il Battisti si sia prestato alla bisogna . Carla Gilberta , nata nel 1967, fu quindi tra le persone protette. Alberto Bruni Tedeschi morì nel 1996.
Si scoprì allora che il vero padre di Carla era un amante della madre , musicista brasiliano , Maurizio Remmert. E Carlà, sposata Sarkozy, non ne fece mistero ; tant’è che in alcune missioni ufficiali Sarkò Presidente si portò al seguito anche la suocera, con il “suocero” Remmert, che nel frattempo era divenuto uomo di affari. Quindi siamo alla Carlà, non più italiana, ma franco-brasileira ( e non a caso anche musicista ). Battisti, in odore di estradizione, fu fatto scappare , ma guarda un po’ , in Brasile. Fu appoggiato nella fuga dai “servizi” francesi ( questo si dice, con qualche fondamento) e da alcune amiche di Carlà, tra cui in particolare la scrittrice “giallista” Fred Vargas ( una sua emissaria Lucia Oles, per esempio, fu fermata a Rio con 9 mila euro per Battisti. ) e la stessa Vargas andava a trovare con regolarità il protetto in Brasile. Carlà nel 2008 incontrò anche Lula, Presidente brasiliano, perorando la causa del fuggitivo. Ma la rete di Carlà in Brasile contava già di molti pezzi da novanta : come Eduardo Matarazzo Suplicy, erede di una grande famiglia di industriali italo-brasiliani , con la compagna , la giornalista Monica Dallari ; o il ministro della giustizia di Lula, Tarso Genro , che più di ogni altro si batté per dare l’asilo politico a Battisti ( a questo proposito va ricordato che nel 2011 Tarso Genro fu eletto governatore della regione Rio grande do Sul ; nel gennaio 2015 Genro ha perso le elezioni per il rinnovo del mandato; le ha vinte il suo oppositore, il cattolico José Ivo Sartori ; a marzo un giudice federale, la signora Averci Rates Mendes de Abreu, ha ordinato l’espulsione di Battisti per essere entrato in Brasile con falso passaporto: non la sua estradizione , già respinta da Lula ). La rete degli amici brasiliani di Carlà naturalmente era ed è oliata e tenuta assieme dal padre naturale Maurizio Remmert.
In conclusione Sarkò obbedirebbe , secondo questa ricostruzione dei fatti, solo a Carlà . E perché lei si sarebbe così esposta ? E’ esclusa la pista ideale o politica. Resta quella della protezione negli anni di piombo e di possibili saperi occulti esercitati in termini ricattatori da Battisti sui Bruni Tedeschi. Una cosa è certa ; Cesare Battisti ha avuto una vita movimentatissima e molto costosa , fatta di alcune famiglie, passaporti falsi, viaggi misteriosi . Chi ha pagato tutto ciò ? I libri scritti, come lui vuol far credere ? No di certo , anche perché Battisti ha solo il diploma della scuola dell’obbligo e non ha dedicato molto tempo allo studio e alla… letteratura . Il suo curriculum parla da solo ; arrestato nel 1972, a 18 anni per rapina; arrestato di nuovo nel 1974 per rapina e sequestro di persona ; denunciato per atti di libidine su persona “incapace”; arrestato nel 1977 di nuovo per rapina; in carcere fu “convertito” alla lotta politica e armata da Arrigo Cavallina dei PAC ( Proletari Armati per il Comunismo).; nel 1979 fu di nuovo arrestato durante un’operazione dell’anti-terrorismo; nel 1981 evase dal carcere di Frosinone e riparò in Francia ; in contumacia , 1991 e 1993, fu condannato in Cassazione a due ergastoli come responsabile di quattro omicidi, tre avendoci partecipato e un quarto per averlo co-progettato ( assassinii Santoro, Sabbadin, Torreggiani e Campagna ). Ecco : con questa storia, perché Carlà e suo marito lo stanno difendendo in una spirale incredibile di implicazioni e complicazioni ? Forse la pista “terroristica” Bruni Tedeschi, resta la più credibile. E per riavere Battisti in Italia allora bisognerà solo chiederlo a Carlà Remmert in Sarkozy.


Pubblicato da Le Formiche il 17 marzo 2015     

domenica 1 marzo 2015

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2014

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giovedì 26 febbraio 2015

Charlie Hebdo , mamma mia !


Perché Charlie Hebdo è sull’orlo del fallimento giornalistico

26 - 02 - 2015Marcello Inghilesi
Perché Charlie Hebdo è sull'orlo del fallimento giornalistico

Charlie Hebdo è ripartito, come dice la copertina della rivista francese, sei settimane dopo il numero dei “sopravvissuti” alla strage del 7 gennaio scorso. È ripartito con una (brutta) vignetta diLuz che mostra un povero coniglietto (o animale del genere) che corre con “Charlie” tra i denti, inseguito da una muta di bestie feroci, che sembrano rappresentare la Le Pen, il Papa, gli islamisti, Sarkozy e un gruppo di occhi cattivi con la scritta BFM, importante televisione di informazione francese.
Il settimanale satirico ricomincia con 220 mila abbonamenti e la vendita di circa 8 milioni di copie del numero dei “sopravvissuti”, quello del 14 gennaio; quindi con tanti soldi e sette vignettisti in meno uccisi dalla furia omicida dei fratelli franco-algerini Kouachi. La redazione è stata rimessa in piedi alla meno peggio; ma i limiti del giornale appaiono in tutta la loro evidenza.
La linea editoriale è chiara, come dice Luz stesso: “Contro gli oscurantisti religiosi, politici, economici, ecc… contro il nucleare, contro le politiche liberali, come quella di Macron (Ministro socialista dell’Economia), per esempio…”. In poche parole si ricolloca nell’area comunista originaria, che in Francia non gode di grande popolarità.
Il meglio dei cervelli del settimanale è stato ammazzato. Luz, che è stato scelto tra l’altro per le copertine, all’inizio di questo mese ha dichiarato: “Tutto questo (quello che è successo) è assurdo. I soldi che abbiamo, è assurdo. I lettori che abbiamo, è assurdo. L’appoggio che abbiamo, è magnifico, ma è anche assurdo. Non so come faremo per uscire da tutte queste assurdità. Non ne ho alcuna idea…”. Da queste poche parole sembrerebbe che l’assurdo sia lui, il povero Luz, del tutto inadeguato al ruolo di una bella satira libera che tutta la Francia e non solo, ha sperato di trovare in lui e nel suo giornale.
È difficile per Charlie Hebdo assumere nuovi vignettisti bravi; si dice per il pericolo a cui sono esposti con gli islamisti; ma forse non è del tutto così; molti non vogliono andare a lavorare in un giornale troppo politicizzato, di area comunista, e con colleghi di assoluta modestia. E quindi la redazione, nonostante i soldi e l’ondata di appoggio dopo il massacro dell’11 gennaio, è in grave difficoltà di idee e di organizzazione del lavoro.
D’altro lato le cose non sono chiare neppure sull’impiego della massa dei soldi piovuti sul giornale (si parla di 15 milioni di euro). Patrick Pelloux, il vecchio (non di età) croniqueur e uno dei leader del settimanale, medico urgentista, sopravvissuto per miracolo alla strage e stimato da tutti, anche se schierato politicamente nell’area comunista, ha spiegato che i soldi dovranno essere dati alle famiglie dei giornalisti morti e non solo; anche alle famiglie dei non giornalisti uccisi nella strage. Ed ha elencato le necessità delle famiglie, una per una. “Se ci fosse la minima malversazione, il minimo malfunzionamento (del progetto), sarei il primo ad avvisare non solo i media, ma anche la giustizia e le famiglie. Non è una minaccia; è una certezza”.
Quindi i problemi di Charlie Hebdo non sono di poco conto. Prima della strage il giornale era sull’orlo del fallimento economico. Ora sembra sull’orlo di un fallimento giornalistico. La satira non è vincente quando è solo settaria. D’altra parte fare disegni satirici è da sempre una professione molto raffinata, difficile ed elitaria. Quindi dovrebbe esserci un forte rinnovamento nella linea di Charlie Hebdo e anche nella sua redazione. Il grande movimento di solidarietà scattato dopo la strage si è retto sulla difesa del libero pensiero e della sua espressione; contro i fondamentalismi, religiosi o politici che siano.
Il numero in edicola oggi sembra invece l’espressione di una redazione chiusa a riccio su se stessa, vecchia, settaria e oltretutto poco professionale. Ne hanno stampate 2,5 milioni di copie. Forse la curiosità della gente risponderà alle loro previsioni. Ma se queste sono le premesse il futuro di Charlie Hebdo tornerà ai 10 mila abbonamenti di prima della strage. Peccato! La Francia (ma anche l’Europa) avrebbe bisogno di un bel giornale satirico, intelligente e aperto, ironico e non ringhioso, rispettoso dei valori umani e non conformista.
L’ondata di solidarietà per Charlie Hebdo poteva essere l’occasione per costruire questo giornale; purtroppo tutto lascia pensare che non sarà così.
Le Formiche.net 26 febbraio 2015

martedì 24 febbraio 2015

La testa se ne è andata


 R.E.M.  Losing my religion

sabato 14 febbraio 2015

Boschi-Renzi


La Boschi ama il Renzi .Il Renzi ama la Boschi. E chi comanda tra i due ? I boschiani dicono la Boschi. Ecco ! W la Boschi ! W l'Italia !

venerdì 6 febbraio 2015

Ucraina ?

"Ieri il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato alcuni studenti universitari a San Pietroburgo e ha detto che è sbagliato continuare a parlare di “esercito ucraino” come se esistesse davvero: “Non c’è più un esercito ucraino, in realtà c’è una legione straniera, in questo caso agli ordini della Nato, e ha obiettivi diversi dall’interesse nazionale dell’Ucraina”.Il Foglio 27 gennaio 2015.
Ecco: a noi questo roba ucraina costa miliardi di euro ; in nome di cosa ?

Alfano vasa vasa

A Montecitorio , durante e dopo l'elezione del Matta , Angelino si sbracciava , applaudiva, saltellava, stringeva mani, faceva vasa vasa, si agitava, infervorato ; alla fine "fior di loto" gli ha sussurato, a nome del Royal baby ," calmati ! ora esageri: da quell'altra parte..."

Eurotsipras

Già riportato all'ovile ? addirittura per mano ; Vendola sarà contento....

Il 187

Stamani ho chiamato il 187 per sapere qualcosa sulla mia linea telefonica interrotta ; nessuna voce umana ; solo una serie di numeri legati ad opzioni ; l'ultima opzione era :"guasti sulla linea ? " ; scelta l'opzione , dopo due ore mi è arrivato un messaggio sul cellulare ;" c'è un guasto sulla linea "; già : quello che avevo detto io . Sono passate più di 30 ore e la linea è ancora guasta ; ...nella prima repubblica non sarebbe successo . Visto che ora ci sarebbe un sistema competitivo , cercherò una compagnia telefonica che :1 . mi risponda con voce umana vera al telefono 2. paghi un risarcimento oltre qualche ora dopo un guasto : poi si può parlare di tariffe . Preciso che non vivo in zone innevate e che sono per occupare la gente e non per comprare nastri registratori.