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venerdì 23 ottobre 2009

Zizan El Taliban

Zizan Al Taliban è un alto funzionario del Governo afgano, che vuol mantenere l’…anonimato. Mohammed Ishmayel , invece, è un comandante talibano, in guerra contro il contingente Nato in Afghanistan. Tutti e due sostengono che gli italiani hanno pagato i talebani per non essere attaccati nella zona di Sarobi ( la stessa tesi è stata torbidamente insinuata anche da un ex agente CIA, Bruce Riedl, che sostiene di averlo saputo da un misterioso uomo di affari francese). I francesi subentrati nel controllo di quell’area , non informati dagli italiani delle loro pratiche tangentare, hanno avuto dieci soldati morti. Gli autorevoli informatori “afgani” si sono poi allargati : hanno sostenuto che queste pratiche corruttive sono note e adottate da tutte le truppe Nato (salvo quelle americane e inglesi, chissà perché) nei terreni di scontro. Notizia bomba per il Times dell’australiano Murdoch e Repubblica dello svizzero De Benedetti , che riportano la notizia e ovviamente , assieme alla solita armata Brancaleone, sbeffeggiano Berlusconi e il suo Governo. In Francia viene registrata esitazione ( la bomba – bufala è digerita solo da pochi cretini ) e il Governo, attraverso il ministro della Difesa Edgar Morin, fa sapere di essere a fianco del Governo italiano. Il Governo afgano dichiara che le accuse dei suoi cittadini, funzionari e guerriglieri, sono infondate e irresponsabili ed elogia la collaborazione italiana nella lotta al terrorismo. La Russa, ministro della Difesa italiano, annuncia azioni legali contro chi “offende i nostri morti e i nostri militari”.
Questa è in grande sintesi la cronaca dei fatti , iniziati il 15 ottobre con gli articoli del londinese Times di Murdoch.
Che i Servizi dei vari Paesi aiutino i soldati Nato impegnati in Aghanistan è noto e probabilmente richiesto dalla Nato stessa, che non ha una sua “intelligence”. Questi servizi, in ovvio coordinamento tra loro ( sarebbe un po’ grave e stupido il contrario ), lavorano nel territorio con i capi tribali di quelle aree ; gente che sa molto; e che ha strette relazioni , volute e non , con i guerriglieri islamici e con i loro traffici di droga e di armi. Sicuramente ci sono scambi; ma è difficile, anche solo pensare, che ci sia qualcuno che ha comprato la vita dei soldati italiani, a scapito della vita dei soldati degli altri alleati. E’ di moda mettere sterco nel ventilatore rivolto verso il bel Paese ; ma per arrivare a tanto ce ne vuole di stomaco ! E per fortuna, dai commenti agli articoli inglesi , francesi e ovviamente anche italiani, pochi o pochissimi sono quelli disponibili a stare ai pulsanti di questo ventilatore.
Ma chi si è inventato il nostro ipotetico Zizan ? Mentre il ruolo di Ishmayel rientra negli interessi della guerra talebana, quello di Zizan è molto equivoco ; probabilmente voleva gettare zizzania tra i militari Nato: e in parte c’è riuscito, grazie al solito fronte dei giornali Times-Repubblica, Murdoch-De Benedetti. Ma è stata, per lo più, mossa suicida, tanto è inverosimile e stupida. E’ vero che l’inverosimile può far vendere giornali e sollecitare istinti ; ma l’eccesso può anche avere effetto boomerang , come stiamo vivendo di questi tempi in Italia. Se non ci sono limiti all’inverosimile, allora perché non scrivere che …la regina Elisabetta d’Inghilterra (a differenza della signora Bindi da Sinalunga) si è innamorata di Berlusconi ?
Per fortuna il tentativo di zizzania, lanciata tra francesi e italiani, non ha funzionato; e il ventilatore allo sterco sembra ormai girare a vuoto e consumare solo corrente. Ma Murdoch nel frattempo è stato accusato da Obama di aver organizzato non un giornale televisivo, Fox news, ma un partito contro il Presidente USA; e quindi lui e i suoi giornalisti sono stati messi all’indice dalla Casa Bianca. Ma quali analogie con l’Italia, che tuttavia non vede nessuno messo all’indice ! E visto che si ragiona sull’inverosimile, se si scoprisse che l’accoppiata Murdoch-De Benedetti ( o uno dei due ) si sono anche inventati il nostro alto funzionario afgano Zizan Al Taleban ? No via , calma e gesso : Zizan e il suo ventilatore sono stati molto probabilmente inventati solo dai trafficanti talebani; Times e accoliti li hanno usati, a fini politici e commerciali, in maniera del tutto irresponsabile, per la vita di migliaia di giovani che stanno al fronte, con regole di ingaggio pericolosissime per la loro vita.

giovedì 22 ottobre 2009

La strada

Andai a trovare il sindaco. Ero convinto e deciso. Il palazzo è medievale: le scale e i muri di pietra con gli stemmi dei casati. Le sale rettangolari piccole di pietra, grigie; se non fosse per la loro geometria o per le loro finestre; se non fosse per quegli sguardi antichi fissati sui muri; se non fosse per quell’odore di storia, acuto e penetrante.
“Senti, io sono contrario a che strade e piazze abbiano i nomi dei morti. Devi dargli nomi di vivi: di vivi…eccelsi, che però abbiano anche l’umiltà di prendersi in cura la propria strada o piazza: non è un problema di soldi; ognuno può trattarla con amore, come può; ma deve avere il suo nome”. Mi guardò tra l’impaurito (è pazzo?) e l’interessato: perché la proposta non faceva una grinza. “L’idea è buona: ma come fare? Ti rendi conto? Il consiglio comunale, la lotta dei partiti, la politica, ognuno vorrà una strada, una piazza; diventerà un inferno!”.
“No, perché devi avere il coraggio di scegliere, e poi le strade e le piazze sono tante: centinaia, migliaia; e poi i morti saranno sostituiti; e poi chi è nato in una strada o piazza deve essere avvantaggiato; e quanti sono nati lì, quanti i veri concorrenti? Con la mobilità attuale: e con la palude della borghesia e dell’anonimato: ma no, vedrai, sarà facile”.
“Insomma…pensaci…aspetteranno con avidità la morte di qualcuno; e poi gireranno soldi…tutti i ricchi vorranno la loro strada o piazza…poi ci saranno le mode; le stradine ai poveri, seppur eccelsi, e le piazze ai ricchi…o i viali…e così via…fammici pensare!”
Ci pensò, divertendosi nel disegno; ma lo considerò solo un gioco. Lo capii: e quindi cominciai a chiederlo a tutti quelli che gli stavano attorno (tattica della “pressione-opressione”!)
E in effetti questa linea ebbe successo. Il sindaco cominciò a valutare seriamente l’idea, il progetto: il comitato dei garanti, la commissione esaminatrice, la proposta popolare, qualche referendum: insomma un impasto giusto per un’idea fascinosa. Ne parlarono molto; e poi venne il giorno: il progetto partì, con la mia candidatura, tra le altre. Mi proposero (come di soppiatto avevo chiesto)di sostituire il vecchio nome di via della Seteria (ove ero nato, in alto, nel borgo medievale). Per accettare la candidatura, avrei dovuto…autodocumentarmi e difendere la proposta. Cominciai col sostenere che il riferimento alla seta della vecchia strada non voleva dire nulla: era vero che una volta là si vendevano le stoffe, tra cui la seta: ma era vero altresì che quella strada aveva un unico riferimento, reale e storico: quello di salire sul fianco della Pieve, chiesa solenne del 1100, grandissima e tenerissima madre mia. Per farsi dare la strada, bisognava anche parlare di se stessi e dei propri meriti: non sembrava cosa facile; e invece poi scoprii essere proprio facile e anche gradevole: il narcisismo fu violento e mio padrone, quasi totale.Il lavoro che feci, dunque, fu come una tesi di laurea, con tanto di documentazione e bibliografia. Il comitato-commissione-proposta-referendum studiò bene le mie argomentazioni: e le trovò corrette. E un giorno, un bellissimo giorno, le autorità, il consiglio comunale, decisero di cambiare il nome di via Seteria in via Marcello Inghilesi, il mio nome, discendente da una famiglia che lì aveva vissuto per molto tempo.
Per qualche giorno rimasi stordito per l’onore fattomi (o che ero riuscito a farmi); e poi emozionato: commosso. Mi feci infine coraggio e andai nella strada: trovai già la scritta “ Via Marcello Inhgilesi” e sotto, più piccolo, “illustre aretino, contemporaneo”. Poi andai a leggere i campanelli, a guardare le botteghe: a scrutare la gente: come se tutto fosse mio, in casa mia. Il possesso è terribile: quella strada mi dava l’idea del possesso. Avrei voluto gente mia, che piacesse a me; avrei voluto tutto pedonale, avrei voluto una passeggiata, una linea della strada un suo profilo: che le case… avrei voluto…La Pieve continuava a ombreggiare tutta la strada: quelle pietre, quel grande portale, lungo la fiancata destra, che avevano aperto per battezzarmi: traversarono la strada fui battezzato: quella chiesa, ove giurarono i miei genitori: quella chiesa, ove un giorno forse avrebbero pianto le note dei miei funerali.
Fu un tempo violento quello della visita a via Marcello Inghilesi: i sentimenti si ruppero più volte e più volte si ruppero le idee, i progetti; poi stanco mi addormentai.
I mesi, gli anni fecero giustizia delle prime emozioni. Appena possibile andavo nella mia strada: ormai conoscevo tutti; avevo simpatie e antipatie, con reciprocità, come sempre, in quelle strade antiche. Pensai alle pietre, ai fiori, a discutere linee e profili, in riunioni assembleari, rissose e divertenti.
La mia strada doveva essere più bella delle altre: partivo sicuramente dal vantaggio delle linee e della storia, delle pietre e dei colori, del disegno. Ma era un lavoro infernale: un grande condominio, che comprendeva anche il preposto della Pieve. Ognuno voleva qualcosa e nessuno voleva pagare. I miei concorrenti ricchi, anche se avevano avuto strade e piazze più pesanti come gestione, risolvevano tutto con loro delegati e con soldi. Io invece volevo star sempre lì, a discutere di tutto: peggio di un bambino con i giocattoli: o di un Narciso al suo specchio. Ero già vecchio, con i dolori dei vecchi e la testa sempre più infantile, arruffata e capricciosa dei vecchi.
La strada cominciò ad annebbiarsi: i disegni si confondevano, ritornavano e sparivano di nuovo. E un giorno la nebbia si fece fitta e ci fu il trapasso, con le note struggenti, nella Pieve, nella strada. Trovai subito il Signore, vecchissimo e bellissimo, bianchissimo e dolcissimo; il Signore! Mi parlò immediatamente dei miei tanti peccati: e poi si fermò a lungo sulla “complicazione” della strada.
“Ma come ti è venuto in mente? Orgoglio e narcisismo; ma anche amore: e ore che faccio io? Spiegami!”.
Rifeci la lunga questione tra vivi e morti; e ripetei che ai vivi la strada importa più che ai morti.
“No, figliolo; qui molte creature sono altrettanto orgogliose di restare nella mente della Terra, per sempre o quasi; se lo meritano: così non sembrano neppure morti: e la gente li conosce, li ricorda, perché hanno lasciato un segno importante nella Terra”.
“Ma Signore, e le strade? Anche loro devono vivere, con qualcuno che sia orgoglioso di loro, in vita, non qui dove loro non vedono”.
“Non fare confusione: le strade e le piazze sono di pietra: fanno tutto da loro; il nome è solo un simbolo: hanno bisogno di garzoni, non di padroni!”
Rimasi male: le strade e le piazze non sono di pietra. E vero, hanno bisogno di garzoni e non di padroni; ma hanno anche bisogno di parlare con qualcuno; sennò sono morte. Il Signore lesse il mio dissenso e il mio dispiacere.
“Non devi crucciarti: ti ho parlato per mitigare il tuo orgoglio e il tuo radicato edonismo: ma non voglio mortificare il tuo amore: tu stai solo sognando di allargare i confini del mondo delle creature: e quindi di farmi onore. Sogna pure: e se qualcuno ti segue (come quel sindaco laggiù), il sogno sarà ancora più grande: il sogno che le strade possono anche non essere di pietra e parlare a tutti quelli che vogliono sentirle”.




[1] Questa piccola storia è stata pubblicata nel N. 3 della rivista Cahiers d’Art, settembre 1994.

Il numero

Questo mi porta male. andiamo oltre

Dei giudici



Alcune note per la riforma della giustizia


1 I giudici non possono parlare con i giornali scritti o video. Possono, in via eccezionale, scrivere comunicati stampa ( anche se i loro comunicati dovrebbero essere solo le sentenze ) . Mai apparire ( non devono vendere nulla, comprare nulla, né raccogliere consensi o dissensi) , per la sicurezza loro e dello Stato.
2 I giudici sono responsabili di quello che fanno, civilmente e penalmente; il giudizio su di loro deve essere dato da un organismo terzo, istituzionale, nazionale e territoriale; la sua composizione e il suo funzionamento devono essere stabiliti dal Parlamento.
3 L’attività giudiziaria, come ogni altra attività di pubblico servizio, è svolta nell’ambito di un’organizzazione statale autonoma del “sistema giustizia”: la direzione dei Tribunali deve avere una struttura organizzativa , alla quale richiedere economicità ed efficienza del servizio. In parte è così ; invece deve tutto essere così . Il lavoro dei magistrati deve essere analogo a quello di tutti gli altri funzionari dello Stato, nel quadro di regole precise e conosciute, fatto di comportamenti, orari e organizzazione del lavoro ( come le forze armate , la stessa …Presidenza della Repubblica o il Parlamento ); chi ci sta bene; gli altri a casa, come tutti i lavoratori del mondo ( per ognuno che se ne va, ce ne sarebbero cento ,anche più bravi, disposti a sostituirlo: non si sta parlando di ...chirurghi ! )
4 In questo quadro la Magistratura può avere una sua totale autonomia , nel quadro delle sue diverse funzioni , che, oggi più che mai, richiedono specializzazione ( come d’altro lato l’Università) ; questo non esclude che da una funzione si passi ad altra, ma solo attraverso “concorsi” interni, diretti a verificare l’idoneità dei candidati a svolgere il lavoro richiesto.
5 L’organizzazione del CSM deve essere profondamente rivista ; se i magistrati lavorano in nome del popolo italiano, i rappresentanti di questo popolo devono avere una funzione determinante nel lavoro del CSM.
6 La carriera dei magistrati deve basarsi su due parametri , almeno equivalenti : merito e anzianità: ovviamente essi devono essere documentati.
7 La polizia giudiziaria dialoga con i magistrati istituzionalmente ; i funzionari di polizia giudiziaria denunciano fatti ai magistrati e ricevono dagli stessi richieste di indagini o approfondimenti di indagine ; il rapporto diretto tra magistrato e singolo ufficiale deve essere tagliato, onde evitare confusioni gerarchiche o collusioni personali improprie.
8 I magistrati, al pari degli ufficiali delle forze armate, non possono avere milizia politica, diretta, indiretta o… mascherata ; essa deve costituire reato : le idee sono una cosa ; la milizia è un’altra , per un professionista che deve giudicare.

martedì 13 ottobre 2009

W la France ! Sarkò e il bimbo

“…poveri italiani: certo da noi non si vedrebbe mai un capo di stato controllare la stampa, intimidire i giudici e godere di un’immunità penale…”Così disse Liberation , giornale della sinistra francese. Già : come se il Presidente francese non fosse coperto da immunità nel periodo del suo mandato. Ma tant’è. E’ curioso come oltralpe si accaniscano a divertirsi con Berlusconi; costruiscono la macchietta italiana, mezzo fascista e mezzo spaghetti, tanto billionaire, dongiovanni e imprenditore da strapazzo. La Francia sta diventando il villaggio di Asterix. Quello che c’è dentro , è fatto loro ; gli altri non si permettano di criticare o giudicare. “ Certo da noi…chez nous…”. E voi siete solo povera gente ; non solo noi italiani: anche i tedeschi , gli inglesi o gli americani. E allora proviamo a mettere questa nostra povera capoccia in quel loro meraviglioso e ricchissimo esagono, patrimonio di tutti noi, europei !
Troviamo subito che il figlio del Presidente , Jean Sarkozy , nato nel 1987 dalla prima moglie di Sarkò, Marie Dominique Culioli , è in predicato per essere nominato prima Consigliere poi Presidente dell’ EPAD ( Etablissement Publique Amenagement Defense ) ; come dire a capo di una decina di EUR romani messi assieme, con l’amministrazione di 160 ettari a Parigi, destinati ad accogliere il più grande centro di affari europeo. L’EPAD studia, valorizza e attrezza aree, che poi vende sul mercato. Va a sostituire Patrick Devedjian, attuale Ministro per il rilancio economico e presidente dell’EPAD : ha 65 anni e quindi , come d’uso, deve lasciare, a suo malincuore, questa presidenza. E’ salita la protesta. E subito la replica ; e l’età cosa conta ? Basta essere bravi ; e Jean lo è tanto da essere già…presidente del Gruppo della maggioranza nel Consiglio generale della Hauts de Seine, ove è approdato per forte volontà…popolare. Naturalmente il ventiduenne Jean deve ancora finire gli studi universitari. Ecco; come se Berlusconi avesse nominato sua figlia Barbara, Commissario straordinario alla ricostruzione dell’Abruzzo.Cosa avrebbe scritto Liberation ? In Italia è tornata la monarchia ? O i fasti neroniani si fanno rivedere ? D’altronde Sarkozy ha altri due figli e , molto probabilmente, i francesi sperano proprio che il padre non li tratti in maniera analoga. Come sperano che finisca presto questa saga del “bling-bling” ( leggi “bollicine”) sarkosiano, fatta di mogli, di figli,di suocere,di amici in esibizione e così via. Ma girando la capoccia di qualche centimetro si trova un altro caso sotto tiro ; quello del Ministro della cultura, Frederic Mitterand ; è accusato di pedofilia e di turismo sessuale. E’ dovuto andare a spiegare i fatti in televisione, convincendo molti, ma non tutti.La Segretaria generale dei socialisti , Martine Aubry ( a sua volta accusata di brogli congressuali) ha detto “…basta con vicende personali ; detesto chi se la prende con uomini e donne sul piano personale; cerchiamo di parlare di disoccupazione, di crisi economica e del potere di acquisto che continua a stagnare…”. Martine Aubry, figlia di Jacques Delors, ex Presidente della Commissione europea, non vuol parlare dei fatti personali di Frederic Mitterand , nipote del Presidente Francois Mitterand. E ha ragione, con un minuscolo commento: ma la Delors, il Mitterand, il Sarkozy , non potevano fare un mestiere diverso da quello dei loro cari , prestigiosi personaggi della storia politica francese ? Nel meraviglioso esagono francese ed europeo sta forse tornando la “grandeur” oligarchica di altri tempi ? E noi “..poveri italiani” d’Europa, qui soli : con Berlusconi !
pubblicato ne L'Occidentale il 12 ottobre 2009

domenica 11 ottobre 2009

Gilberto



Gilberto era un passero signore: nato e cresciuto sui tetti del castello dei Guidi, a Poppi, in Casentino. Era l’ultimo di un’antica casata di passeri, che aveva, dall’alto, vigilato sulla vita dei nobili castellani. Lui per di più era bello: bello di piume, di becco e di sguardo. Si spostava raramente dalla piazza del Castello; considerava i passeri dei campi e dei boschi, delle povere creature, esposte a tutte le possibili penurie o disgrazie della vita.
Lui dall’alto dei tegoli rossi e cotti, muschiosi e ombreggiati, del Borgo antico, girovagava per gli anfratti delle pietre, a beccheggiare, con fare annoiato. E poi tornava su, nei torrioni, a vedere passare il cielo, a sentire i canti del vento, a scrutare i colori dell’aria, quasi sempre diversa.
E furono proprio i colori, una sera di un meraviglioso tramonto, a farlo riflettere.
“Che ci faccio qui da solo, dentro queste mura, dai colori conosciuti, vecchi, antichi, grigi, scuri, profondi?”
La verità è che era stato abbagliato da un lontano campo di girasoli, nel pieno della luce vespertina; un giallo intenso, di fuoco; un riflesso di luce colorata dalla natura; un’esplosione visibile di gioia e di violenza. Riandando con lo sguardo alle sue pietre, ebbe come un senso di tristezza, di fatica, di pena per la vita piatta, fatta di pietre.
Aveva ora un gran desiderio di colori: una curiosità per quei lontani disegni e giochi e violenza della natura; e poi una curiosità per il mondo, per giri più grandi della sua piazza.
E così partì.
Volò subito lontano, per evitare ogni ripensamento e anche per soddisfare quella voglia improvvisa e forte, quella decisione impetuosa. Volò alto; vide campi e borghi; le linee dolci delle colline, quelle più acute dei monti; vide le composizioni dei colori; sentì gli odori. Puntò a sud, verso il Sole, la Luce; vide città e fiumi e fiamme; aria sporca; incontrò l’Acqua; si lasciò portare dal vento, che sembrò volergli bene, non contrastandolo mai.
Poi il caldo ebbe la meglio: decise di fermarsi in un posto colorito, pieno di acquazzoni e di vegetazione arcobaleno, dalle tinte forti. Piante padrone! Anche con le acque furiose e con il soffio isterico dei tifoni quelle piante restavano superbe a lasciarsi strapazzare, ma anche a urlare la loro forza; il passare della vita e il loro restare maestoso, di sfida in sfida, nella loro bellezza trionfale: fino al fuoco e alla mano distruttrice.
Il borgo era di legno, sudato da un sole umido. Tutto era lento: lenti gli uomini, bagnati dal caldo e dal loro calore; lenta l’aria, appesantita dalla sua fatica, torrida; lenta la natura, quasi un ombrello di ombra per il sudore della vita. Quasi tutto era meravigliosa sopravvivenza.
E così Gilberto si imbarcò: con uccelli grandi e piumati; gioiosi e melodiosi: buffi: anche gli uccellini piccoli erano come i grandi: piumati, gioiosi, melodiosi e buffi. In sostanza, però, belli. Gilberto si innamorò di una sgricciolina piumata di verde, piena di femminilità, in tutto. Lui, rude castellano di Popi, crollò; si liquefece di fronte a quel batuffolo di piume verdi e colorate, tropicale. E crollò anche Guglielmina, batuffolo di piume, piena di voglie e di curiosità, di fronte a quel terreo e ruvido passero dei torrioni di Poppi, delle montagne di una lontana e misteriosa Etruria. E così Gilberto cominciò questa vita nuova e tutta pazza, per un nobile passero delle pietre e delle torri del Casentino.Si divertì tra mille avventure e mille cose nuove; e si abituò anche a quei nuovi cicli. Una sola questione lo aveva turbato, fin dal suo arrivo: il grande urlare di tutti gli uccelli, ma anche di molti animali, al calar della notte; e poi il loro improvviso silenzio nel buio, salvo grida lontane, soffocate, disperse. Dapprima interpretò tutto ciò come una liturgia magica, di preparazione alla notte e al sonno. Poi invece Guglielmina, il suo batuffolo verde tropicale, gli spiegò il fenomeno:”Qui noi abbiamo paura del nero, della notte che arriva velocissima; ci sono uccelli della notte che invece temono i colori del giorno; ma sono pochi; noi temiamo il nero, il buio; e tutte le volte che il nero ci scende addosso, gridiamo, piangiamo, ci disperiamo; e appena la luce ricolora il mondo, ricominciamo a vivere o facciamo festa”.
Paura del nero e della notte! E’ vero, molte creature sono così; da bambino piangeva al buio: da grande taceva, ma soffriva. Gilberto allora non aveva capito; ora era tutto chiaro. Ci sono creature che temono il nero e la notte.Le urla dei suoi nuovi amici manifestavano, in una terra tutta manifesta, questa paura; e quasi protestavano o piangevano, in una coro collettivo, bello, sinfonico, spesso disperato.
Una notte Gilberto si ubriacò; fu una esperienza e una sensazione disgustosa; sentì i brividi, vomitò, vide tutto di traverso, e tanti, tantissimi colori, tutti forti, violenti, innaturali; e solo Guglielmina riuscì a riportarlo nel loro splendido ricovero, in un albero secolare.
Al risveglio sentì la nostalgia di Poppi, del borgo, delle pietre, della monotonia antica, con pochi colori, ma tutti impregnati di storia, di vita antica, di pietre più forti e più intricanti, rispetto a quella maestosa vegetazione, a quel festival di colori, inebriante.
Decise così di riprendere la strada del nord; cominciava già ad essere vecchio: qualche mese ancora e non ce l’avrebbe fatta più a volare tanto lontano.
Parlò con Guglielmina, che non fu per niente attratta dall’idea di una migrazione; anzi restò decisamente contrariata; ma credendo a una delle solite commedie filosofiche di Gilberto, agitò le piume verdi e rise, rise e rise ancora, urlando. Gilberto capì la sua lontananza. E poco dopo scappò.
E volò alto; si unì a stormi di migratori: poi continuò in solitudine. Trovò di tutto; e quasi tutto grande, a volte impetuoso: il vento, la luce, le acque, le terre verdi e ancora il giallo pastoso dei campi di grano e il giallo violento dei campi di girasole. Arrivò così l’estate calda. Ogni tanto, di notte, si rifugiava nella verdura di alberi alti e frondosi, esposti a tutti i sospiri freschi dell’aria. Imparò a riconoscere i concerti dei grilli. Nelle notti calde il coro dei grilli sembrava una somma, al massimo un inseguirsi, di richiami tristi. Ma non è così. E Gilberto scoprì i concerti, la chiave di quei concerti; i loro cori melodiosi e allegri (che, a sentir bene, pur in apparenti monotonie, sono diversi). E ogni notte, a ogni coro, Gilberto dette un nome: “calda è la notte”, “canto alle stelle”, “aspettami, sto sognando”, e così via.
Imparò il linguaggio della cicala; che non piange, ma racconta interminabili storie, che aiutano a prender sonno e a perdere i sensi nei caldi pomeriggi del sole e degli olivi.
Arrivò il momento dell’ultimo grande salto; il suo castello era ormai vicino. Si alzò in volo, che era ancora notte; ma tanta era la smania di arrivare, di rivedere, di ritrovare, rivisitare…Volando sognava, pensava, ricordava: quel lontano mondo, caldo; i suoi colori; i pianti delle notti, del nero e delle urla delle furibonde acquate. Guglielmina era stata un gioco, un meraviglioso gioco, per tutti e due. Rivide le grandissime forze della natura; e la loro violentissima bellezza.Poi scorse l’Arno antico, mentre…"volta il muso" ad Arezzo. Si abbassò a riprendere forza e a risentire gli odori della vallata; e nella vallata entrò cantando, felice, eccitato. Risalì l’Arno; e ritrovò molte delle sue cose, che gli sembrarono più piccole, più modeste rispetto ai ricordi e ai sogni. Gli insetti in volo; l’acqua rustica e fredda; i colori scuri dei sassi e delle piante; rivide la gente opaca delle piazze, nei paesi e nei borghi. Poi si alzò a cercare Poppi; e lo vide lassù bellissimo e pietra nel cielo; il castello e il borgo. Emozionato fece un giro su sé stesso e guardò lontano, l’aria, i colori, la vallata. E ritrovò quella macchia fiammeggiante di girasoli, che fu all’origine del suo partire.Si abbassò; e poi ci si buttò dentro, per vederli quei girasoli, forse per ringraziarli, forse per conoscerli, forse per un’ultima emozione. Cominciò a giocarci. Le rondini erano alte e giravano, scherzando in cielo. Fu un gioco duro: nessun colore era mai stato per lui così forte, come quello dei girasoli nel meriggio; quasi avessero accumulato tutto il sole e il caldo della giornata: il fuoco della terra e la luce del cielo. Volò sopra e si sentì abbagliato dall’ardire della luce gialla; si rifugiò sotto, fra la terra, le corolle e le loro grandi conchiglie verdi; sbatté sugli steli. Cominciò a vedere uragani gialli; combatté con le ali, contro il colore, contro quella violenza insopportabile. Tentò di risalire sopra, ma cadde subito tra gli steli, in terra. Guardò in alto: vide il verde scuro delle conchiglie dei girasoli; e tra il loro ondeggiare, le rondini e il castello; stupide rondini: immobili mura! Si rotolò nella terra scura; sopra di lui, verso il cielo, il fuoco dei colori. E così restò.
Questa novella è stata pubblicata nel N. 5-6 della rivista Cahiers d’Art, dicembre 1994 e nel volumetto Piccole storie Debatte editore 2005