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martedì 23 luglio 2013

Porcherie magistrali : Gardini




Intervista di Von Peter al Corriere della Sera del  21 luglio 2013.
"Per me fu una sconfitta terribile. La morte di Gardini è il vero, grande rammarico che conservo della stagione di Mani pulite. Per due ragioni. La prima: quel 23 luglio Gardini avrebbe dovuto raccontarmi tutto: a chi aveva consegnato il miliardo di lire che aveva portato a Botteghe Oscure, sede del Pci; chi erano i giornalisti economici corrotti, oltre a quelli già rivelati da Sama; e chi erano i beneficiari del grosso della tangente Enimont, messo al sicuro nello Ior".
"...Seconda ragione": "Io Gardini lo potevo salvare. La sera del 22, poco prima di mezzanotte, i carabinieri mi chiamarono a casa a Curno, per avvertirmi che Gardini era arrivato nella sua casa di piazza Belgioioso a Milano e mi dissero: 'Dottore che facciamo, lo prendiamo?'. Ma io avevo dato la mia parola agli avvocati che lui sarebbe arrivato in Procura con le sue gambe, il mattino dopo. E dissi di lasciar perdere. Se l'avessi fatto arrestare subito, sarebbe ancora qui con noi".

I soldi andarono al PCI ? Quindi ?  Se tutti fossero stati eguali , anche i capi del PCI , come gli altri , non potevano non sapere ; eppure secondo l'irraggiungibile Von Peter non sapevano . A meno che Gardini gli avesse detto... ; ma Gardini si ammazzò ; o no , come dicono in molti ?
A margine Von Peter se l'è presa anche con Cagliari morto suicida in carcere , dicendo che Cagliari era un uomo che sputava nel piatto in cui aveva mangiato.

 (Von Peter  è stato così  condannato, tra l'altro, a farsi dodici sciacqui al giorno allo specchio guardandosi sugli occhi e gorgogliando dieci ave-pater-gloria ; per 9 anni, 9 mesi (anzi 6 ) e 12 giorni , prima di aver diritto di tornare a parlare di Cagliari ) .
Qui di seguito la lettera di addio di Cagliari , "lo sputo sul piatto" .

“Miei carissimi Bruna, Stefano, Silvano, Francesco, Ghiti: sto per darvi un nuovo, grandissimo dolore. Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non posso sopportare più a lungo questa vergogna
La criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto.
Tutto quanto mi viene contestato non corre alcun pericolo di essere rifatto, né le prove relative a questi fatti possono essere inquinate in quanto non ho più alcun potere di fare né di decidere, né ho alcun documento che possa essere alterato. Neppure potrei fuggire senza passaporto, senza carta d’identità e comunque assiduamente controllato come costoro usano fare […]
L’obbiettivo di questi magistrati, quelli della Procura di Milano in modo particolare, è quello di costringere ciascuno di noi a rompere, definitivamente e irrevocabilmente, con quello che loro chiamano il nostro “ambiente”. Ciascuno di noi, già compromesso nella propria dignità agli occhi della opinione pubblica per il solo fatto di essere inquisito o, peggio, essere stato arrestato, deve adottare un atteggiamento di “collaborazione” che consiste in tradimenti e delazioni che lo rendano infido, inattendibile, inaffidabile: che diventi cioè quello che loro stessi chiamano un “infame”[…]
La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione, o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente. Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza teste né anima […]
Come dicevo, siamo cani in un canile dal quale ogni procuratore può prelevarci per fare la propria esercitazione e dimostrare che è più bravo o più severo di quello che aveva fatto un’analoga esercitazione alcuni giorni prima o alcune ore prima[…]
Già oggi i processi, e non solo a Milano, sono farse tragiche, allucinanti, con pene smisurate comminate da giudici che a malapena conoscono il caso, sonnecchiano o addirittura dormono durante le udienze per poi decidere in cinque minuti di Camera di consiglio.[…]
Quei pochi di noi caduti nelle mani di questa “giustizia” rischiano di essere i capri espiatori della tragedia nazionale generata da questa rivoluzione. […]
Sento di essere stato prima di tutto un marito e un padre di famiglia, poi un lavoratore impegnato e onesto che ha cercato di portare un po’ più avanti il nostro nome e che, per la sua piccolissima parte, ha contribuito a portare più in alto questo paese nella considerazione del mondo. Non lasciamo sporcare questa immagine da nessuna “mano pulita”. Questo vi chiedo, nel chiedere il vostro perdono per questo addio con il quale lascio per sempre.[…]
A tutti lascio il ricordo di me che vorrei non fosse quello di una scheggia che improvvisamente sparisce senza una ragione, come se fosse impazzita. Non è così, questo è un addio al quale ho pensato e ripensato con lucidità, chiarezza e determinazione.
Non ho alternative … Gabriele

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