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lunedì 12 marzo 2018

PROTEZIONISMO

Trump ha scandalizzato i “mondialisti” con la decisione di mettere dazi su alcune merci di importazione in Usa. Gli Stati Uniti hanno un deficit della bilancia commerciale che si aggira sui 700 miliardi di euro all’anno (115 dei quali con l’Unione Europea e 350 con la Cina).
Al di là delle opinioni sulla politica del presidente americano, la filosofia del liberalismo totalmente aperto (o con il minor numero di limiti possibile), della cosiddetta “mondializzazione”, del mercato globale, rappresenta una scelta dogmatica, basata solo sulla difesa degli interessi di alcuni (imprenditori o finanzieri multinazionali) e a danno di economie regionali e locali. Le stesse teorie economiche liberistiche, che stanno alla base delle tesi mondialiste (Stuart Mill, Marshall ecc),sostengono che il libero scambio rappresenta la condizione ideale del commercio internazionale, ma solo dopo che tutti i Paesi abbiano raggiunto uno sviluppo omogeneo, attraverso politiche protezionistiche. In poche parole il sistema economico di Stati e Regioni deve essere messo in condizione di competere dopo pratiche protezionistiche capaci di difenderne lo sviluppo. E quindi le tesi degli economisti “protezionisti” (come Hamilton o List) e di quelli “liberisti” alla fine non si distanziano molto nella concezione di un commercio internazionale capace di aprirsi e chiudersi progressivamente, in funzione di economie liberali equilibrate. Quindi anche nelle economie liberistiche possono avere senso misure o politiche protezionistiche.
Trump è andato contro corrente essendo il processo di mondializzazione e del libero commercio internazionale quello oggi più sostenuto dai poteri forti nel mondo e da gran parte degli intellettuali che si occupano del problema. In particolare la Commissione Europea, nelle persone dei suoi Commissari all’Economia Moscovici e al Commercio Malmostroem, hanno reagito con forza contro questa decisione del presidente americano, minacciando anche ritorsioni “…avendo un vasto arsenale con cui rispondere…”.
Al momento sappiamo solo che l’Europa esporta negli Usa merci con un surplus di 115 miliardi di euro all’anno; quali possano essere le ritorsioni minacciate e quali i loro possibili effetti non è dato sapere. Sappiamo peraltro di colloqui telefonici diretti tra il presidente francese e quello americano; magari ogni Paese comincia a cercare ciambelle di salvataggio per proprio conto. E nei singoli Paesi europei ci sono spinte dirette al ritorno di una nuova regolamentazione per i commerci interni alla Ue, a salvaguardia di patrimoni e produzioni localistiche, contro “liberalizzazioni” e “mondializzazioni” imposte da Bruxelles (con regolamentazioni che favoriscono tra l’altro pratiche di “concorrenza monopolistica” sovranazionale).
Ma l’Europa stessa ha messo dazi sulle importazioni nel vecchio continente; per esempio sulle barre di acciaio, con dazi di circa il 20% del valore delle merci. (l’acciaio assieme all’alluminio è quello su cui si è concentrata l’attenzione di Trump). Quindi l’accusa agli Usa di pratiche protezionistiche non sembra avere molto senso in un mondo in cui quasi tutti i Paesi hanno frontiere, con dazi sulle importazioni , sui transiti e sulle esportazioni (più rari); e , come ci dice Il Sole 24 ore, per ogni misura verso il libero scambio, ne vengono prese dieci che lo limitano.
Quindi, quando le prediche politiche indicano nella “mondializzazione” degli scambi il destino dell’umanità, parlano di una utopia del liberalismo economico (come lo fu quella comunista). “Noi europei trarremmo un grandissimo vantaggio a ricordarci di Eraclito, quando insegna come lanciare una freccia ,applicando alla corda e all’arco forze di senso contrario . Quando tutto spinge verso il “globale” , tirare verso il “locale”; ciò fa più equilibrio” scrive il filosofo francese Regis Debray. La direzione deve senz’altro essere l’apertura dei mercati e delle economie del mondo intero ; ma le pratiche protezionistiche possono convivere con quelle liberistiche , se si vuole uno sviluppo equilibrato e rispettoso delle esigenze del “locale” rispetto a quelle del “globale”. E l’Unione Europea dovrà tenerne conto.
STARTBLOG 12 marzo 2018                                                    MARCELLO INGHILESI

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