Questa terra a LILIANE ELIES il 22 dicembre 2018
viaaaa!!!
sabato 22 dicembre 2018
mercoledì 19 dicembre 2018
Manifesto dei vecchi
- Non sopportiamo più quelli che ci accusano di averli impoveriti ; di aver lasciato loro un mondo peggiore ( non sanno che mondo abbiamo trovato noi ,con il fascismo, la guerra e il dopo-guerra )
- Siamo stanchi di vedere trafficare sull'Italia che lasciamo, con leggerezza, con incompetenza e , a volte, con incoscienza ( parafrasando Luigi Einaudi )
- Siamo ferocemente contrari a ridiscutere i diritti acquisiti, alla opportunistica e vendicativa retroattività dei provvedimenti, alla eliminazione unilaterale di patti e contratti e alle stupide rottamazioni generazionali.
- Vogliamo vivere il nostro ultimo miglio in serenità, acquisita da noi stessi e riconosciuta dallo Stato ( in quanto Contratto sociale collettivo ).
- Vogliamo essere rispettati
- Vogliamo essere curati, con efficienza, educazione e pazienza ( i pazienti non vogliamo essere noi : devono essere quelli che ci curano )
- Vogliamo che i servizi pubblici tengano conto di noi ; e che le nuove generazioni si mettano in piedi davanti a noi e “giù il cappello” .
- Vogliamo che lo Stato si occupi del nostro “benessere”, della nostra “cultura”, della nostra vita ; in fondo ormai costiamo per poco più e non abbiamo molte pretese.
- Voteremo contro quelli che sono contro di noi : per costrizione !
venerdì 17 agosto 2018
ITALIA : STATO DI DIRITTO ?
Treccani : "Forma di Stato di matrice liberale, in cui viene perseguito il fine di controllare e limitare il potere statuale attraverso la posizione di norme giuridiche generali e astratte. L’esercizio arbitrario del potere viene contrastato con una progressiva regolazione dell’organizzazione e del funzionamento dei pubblici poteri, che ha come scopo sia la «diffusione» sia la «differenziazione» del potere, rispettivamente, attraverso istituti normativi (unicità e individualità del soggetto giuridico; eguaglianza giuridica dei soggetti individuali; certezza del diritto; riconoscimento costituzionale dei diritti soggettivi) e modalità istituzionali (delimitazione dell’ambito di esercizio del potere politico e di applicazione del diritto; separazione tra istituzioni legislative e amministrative; primato del potere legislativo, principio di legalità e riserva di legislazione; subordinazione del potere legislativo al rispetto dei diritti soggettivi costituzionalmente definiti; autonomia del potere giudiziario), comunemente considerati come parti integranti della nozione di Stato di diritto".
Dal 1989 lo Stato di Diritto in Italia ha cominciato a vacillare : a crollare con la "narcopoli" degli anni 1992-1993. Fino ad oggi : con procedure di diritto" retroattivo" ( misure "vendicative"ed elettoralistiche sul Parlamento del passato ); mortificazione del Parlamento e dei diritti soggettivi ; ripulsa di trattati e contratti ; modifica dei rapporti tra organi costituzionali ; in uno scivolo , complici tutti , che porterà
dove ?
Dal 1989 lo Stato di Diritto in Italia ha cominciato a vacillare : a crollare con la "narcopoli" degli anni 1992-1993. Fino ad oggi : con procedure di diritto" retroattivo" ( misure "vendicative"ed elettoralistiche sul Parlamento del passato ); mortificazione del Parlamento e dei diritti soggettivi ; ripulsa di trattati e contratti ; modifica dei rapporti tra organi costituzionali ; in uno scivolo , complici tutti , che porterà
dove ?
domenica 12 agosto 2018
Addio moglie mia ! Addio Liliane Elies !
Hauser ,che suona e parla, mi sta interpretando. 22 luglio 2018
lunedì 18 giugno 2018
Immigrazione : politique d'abord
Alla maturità classica del Liceo Galileo di Firenze, sono stato compagno di banco di Leonardo, un ragazzo bravissimo e comunista. Camminavamo per Firenze, in discussioni infinite, e trovammo un mendicante: feci per dargli qualcosa, mi fermò e, rivolto al poveruomo, gli urlò “ non fare la carità, vota comunista!”. Rimasi imbarazzato ma quella frase mi restò impressa nella testa… per tutta la vita.
Mi è tornata in mente in questi giorni, vedendo le disgrazie dei migranti verso le aree ricche del mondo e il buonismo umano e caritatevole di molta gente — spontaneo — ma il più delle volte anche strumentale o addirittura cinico. Questo “buonismo” verbale è semplice e sbrigativo: facile, insomma, come la carità al mendicante. Aiutiamoli e poi vedremo… È un’emergenza: noi siamo ricchi e loro disperati, possiamo aiutarli, chi non vuole farlo è solo nemico dei poveri e quindi “di destra”, i “buonisti” sono “di sinistra”, compresi molti corpulenti cardinali, il Vaticano e il Papa.
Etica e politica sono cose differenti: i problemi non si risolvono con “la bontà” né con la morale, ma con il cervello e con la mediazione di bisogni diversi, a volte contrapposti… quindi con la “politica”.
Cinquant’anni fa ebbe un ruolo importante nelle nostre relazioni internazionali la Direzione Generale per lo Sviluppo e la Cooperazione del Ministero degli Esteri. Aveva il compito di elaborare piani di aiuti e di crediti per i Paesi poveri e di realizzarli in rapporti di cooperazione bilaterali e multilaterali; altrettanto facevano alcune organizzazioni internazionali come l’UNDP, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.
La DGSC non era né di destra né di sinistra; obbediva al ministro di turno sulla opportunità delle scelte e della politica estera italiana, ma interveniva in concreto nei Paesi poveri, con accordi e progetti concordati. Nel 1966 l’on. Mario Pedini, democristiano, fece approvare una legge per permettere a chi non voleva fare il militare di andare nei Paesi poveri a lavorare per un periodo più lungo di quello della leva, in cooperazione bilaterale o multinazionale. All’epoca questa politica fu considerata progressista e di sinistra (l’Europa era appena uscita dal periodo “coloniale”). La linea politica era quella di aiutare lo sviluppo delle aree più povere con la cooperazione, in una sorta di utopistica redistribuzione del reddito mondiale.
Tangentopoli accusò e condannò nella sostanza quella Direzione come centro di malaffare: in parte lo fu, come spesso accade quando si maneggiano soldi, ma non in tutto… Questo non importò, ormai il bollo del malaffare era stato stampato e la rilevanza di quella politica crollò.
Invece lo sviluppo dei Paesi di emigrazione è la chiave di soluzione dei problemi legati alle migrazioni selvagge, oggetto di mercimonio e di nuove tratte schiavistiche. Ai tempi dello schiavismo, portavano via la gente e la commerciavano, ora la fanno addirittura pagare per essere portata via; prima la “merce” veniva scelta, in funzione del mercato, ora trafficano con bambini, donne incinte e giovani da avviare alla prostituzione, a loro spese. Non si tratta di fermare le emigrazioni, quanto di regolarizzarle, ordinarle, umanizzarle.
Ci sono due emergenze da affrontare: quelle umanitarie causate da guerre, tragedie e carestie e quelle economiche dovute in sostanza solo alla miseria e alla povertà.
Le prime sono in gran parte imputabili alla “violenza” dell’Occidente nel provocare guerre e destabilizzazioni regionali, legate a quello che una volta si chiamava imperialismo (si vedano Iraq, Libia, Siria e guerre tribali africane, per non parlare delle cosiddette “primavere arabe”: sono stati avviati e incoraggiati conflitti, senza avere alcuna idea sulle loro possibili conclusioni, al di là dei diretti e immediati interessi dei Paesi occidentali che li hanno provocati). Anche da sole, queste migrazioni costituirebbero un impegno di difficile soluzione per l’equilibrio europeo, che, non bisogna dimenticarlo, deve far fronte anche ai movimenti di popolazioni “interni”, dalle aree povere a quelle ricche del continente stesso (sud ed est, verso nord e ovest).
Le seconde — la miseria e la povertà registrabili in larghe regioni africane e asiatiche — sono spesso dovute non tanto alla povertà della loro terra (che spesso invece è ricca o molto ricca) quanto alla incapacità delle classi dirigenti locali ad avviarsi sulla strada dello sviluppo. In questo caso solo la cooperazione bilaterale e multinazionale può funzionare. Il mondo “ricco” e potente, con le sue Unioni (Ue e Usa), con i suoi Paesi continenti Russia, Cina, India, Brasile, Canada, Australia, per esempio, potrebbe intervenire per interrompere questa spirale di incapacità e di disperazione, usando anche le Nazioni Unite, che stanno progressivamente andando alla deriva, discreditate e a oggi organismi burocratico-diplomatici quasi superflui.
Le soluzioni di emergenza per questo popolo della miseria, che si pensava già in cammino verso il Paradiso e che si trova invece nell’Inferno della peggiore sopravvivenza — nelle mani di speculatori, trafficanti e “mediatori dal volto umano” — sono legate alla capacità di intervento dell’Europa, più che di questo o quel Paese, ove sovranismo e nazionalismo sono sempre più spesso dominanti, se pure in forme diverse. Forse ora è il momento del suo riscatto. Da unione burocratica e inutile, l’Unione europea potrebbe essere delegata a risolvere una contingenza storica drammatica e a ritrovare una sua vocazione pacifista, nel rispetto delle diversità culturali e geografiche del continente. Smetta di occuparsi della dimensione dei frutti o dei molluschi e guardi invece alla pace dell’Europa, al suo interno (il recente caso Francia – Italia resta molto preoccupante) e nel mondo. La pace non è solamente “non guerra”: oggi è soprattutto cooperazione, democrazia, rispetto dei popoli, delle loro idee, delle loro culture e dei loro sovranismi, antimondializzazione.
Il “buonismo” può venire dopo, ma prima deve esserci la Politica, come diceva Nenni: la “politique d’abord”!
Pubblicato da StartMag il 18 giugno 2018
lunedì 28 maggio 2018
martedì 1 maggio 2018
DON LORENZO MILANI
Don Lorenzo Milani : c’è chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e chi no. Morì nel giugno 1967, cioè 50 anni fa.
Nel dicembre 1967 la rivista Testimonianze dedicò un numero speciale a Don Lorenzo, il numero 100; a quello dovremmo riferirci per tutti gli aspetti della sua vita pastorale, umana, didattica e “politica”. La rivista fece parlare amici e “nemici”del parroco, documenti e testimonianze.
C’è chi ora cerca di ricostruire il percorso storico di Don Milani. Impresa non facile perché in quegli anni il cattolicesimo di Firenze viveva con La Pira, Don Enzo Mazzi e la sua Comunità dell’Isolotto, Padre Balducci, Don Bensi, Don Borghi, i cardinali Dalla Costa e Florit, Don Facibeni e la sua Comunità della Madonnina del Grappa. Nello spazio di una “piccola” città si sviluppavano idee ed esperienze di portata universale (per questo La Pira amava definire Firenze la “città sul monte”). Quel cattolicesimo, cioè, viveva con spirito teologico da un lato (Padre Ernesto Balducci) e operaio, dall’altro (Don Mazzi).
Poche prediche, molta devozione e molto lavoro. Ma chi vuol approfondire la figura di Don Milani, ha tuttora una strada facile; quella di poter contare su testimonianze di persone che lo hanno conosciuto, lo hanno avversato, lo hanno amato, lo hanno avuto come maestro. E invece no; si rovista nella spazzatura e si scrivono presunti scoop su questioni morali fantasiose; per far soldi, per entrare nelle cronache. Non si parla di Don Milani, si inventa una figura inesistente e se ne fa una bandiera.
A nome di tutti quelli che hanno conosciuto Don Milani, laici e cattolici, allievi e amici, avversari politici o religiosi, credo che sia doveroso dire basta a pseudo-scrittori-giornalisti, capaci di infangare l’immagine di una figura, che per molti di noi laici fu un “santo”. Già, un “santo”, ribelle alla assuefazione, alle regole ingiuste; libero e servo solo del suo Dio; rispettoso, ma critico e polemico nei confronti delle proprie gerarchie ecclesiastiche; fedele alle sue idee; partigiano dei poveri; religioso, a volte anche mistico, duro, spigoloso, aggressivo, come solo i “santi” possono esserlo; anche i “santi” laici, quando vivono con forza e passione le proprie idee, prima dei propri interessi.
Nella spazzatura hanno trovato frammenti di insinuazioni morali su Don Lorenzo, leggendo in maniera cretina alcune sue parole, come spesso poteva succedere, eccessive e aggressive, paradossali. Chi vuole scrivere deve anche saper leggere, capire il pensiero e la logica che stanno dietro allo scritto. Altrimenti è meglio che cambi mestiere.
L’amore di Don Lorenzo per il proprio mondo fu passionale; amò i poveri, la sua gente, la loro vita, le loro cose, il loro mondo. E ne fu in qualche modo anche geloso; guai a toccarglieli! Erano sue creature che dovevano essere sempre difese con le unghie e con i denti e, se necessario, con gli artigli. Avevano sempre ragione loro, perché poveri, e quindi vittime di una ingiustizia sociale di radice. Capitava che qualche povero “sbagliasse” (per esempio non volesse mandare a scuola il figlio; o il figlio, andato a scuola, si comportasse male); non poteva questo essere motivo di critica esterna, “borghese”; spettava a lui correggere gli errori; a suo modo, con i suoi metodi.
Nella scuola fu monarca e autorità morale, come solo i “santi” possono esserlo; autorità morale non solo nella sua scuola, ma anche nella vita, fatta di operai e contadini, preti e laici, accademici e maestri elementari, professionisti e dirigenti d’azienda, impiegati e magistrati, sindacalisti e politici; per tutti, amici e “avversari”, un’autorità morale. Fu animo irrequieto, sofferente per le ingiustizie del mondo; e sofferente anche per il suo male, quando cominciò a minare il suo corpo.
Insinuare, balbettare, alludere attorno alla moralità di Don Lorenzo, a 50 anni dalla Sua morte, è stupido e blasfemo: stupido, perché chi ha vissuto con lui o accanto a lui può ancora oggi testimoniare sulla sua vita rigorosa e sofferta, in spirito cristiano; blasfemo, perché Don Lorenzo visse solo per il suo gregge e per il suo Dio.
Per noi laici fu un “santo”.
Marcello Inghilesi
Le Formiche 28 aprile 2017
Le Formiche 28 aprile 2017
mercoledì 4 aprile 2018
lunedì 12 marzo 2018
PROTEZIONISMO
Trump ha scandalizzato i “mondialisti” con la decisione di mettere dazi su alcune merci di importazione in Usa. Gli Stati Uniti hanno un deficit della bilancia commerciale che si aggira sui 700 miliardi di euro all’anno (115 dei quali con l’Unione Europea e 350 con la Cina).
Al di là delle opinioni sulla politica del presidente americano, la filosofia del liberalismo totalmente aperto (o con il minor numero di limiti possibile), della cosiddetta “mondializzazione”, del mercato globale, rappresenta una scelta dogmatica, basata solo sulla difesa degli interessi di alcuni (imprenditori o finanzieri multinazionali) e a danno di economie regionali e locali. Le stesse teorie economiche liberistiche, che stanno alla base delle tesi mondialiste (Stuart Mill, Marshall ecc),sostengono che il libero scambio rappresenta la condizione ideale del commercio internazionale, ma solo dopo che tutti i Paesi abbiano raggiunto uno sviluppo omogeneo, attraverso politiche protezionistiche. In poche parole il sistema economico di Stati e Regioni deve essere messo in condizione di competere dopo pratiche protezionistiche capaci di difenderne lo sviluppo. E quindi le tesi degli economisti “protezionisti” (come Hamilton o List) e di quelli “liberisti” alla fine non si distanziano molto nella concezione di un commercio internazionale capace di aprirsi e chiudersi progressivamente, in funzione di economie liberali equilibrate. Quindi anche nelle economie liberistiche possono avere senso misure o politiche protezionistiche.
Trump è andato contro corrente essendo il processo di mondializzazione e del libero commercio internazionale quello oggi più sostenuto dai poteri forti nel mondo e da gran parte degli intellettuali che si occupano del problema. In particolare la Commissione Europea, nelle persone dei suoi Commissari all’Economia Moscovici e al Commercio Malmostroem, hanno reagito con forza contro questa decisione del presidente americano, minacciando anche ritorsioni “…avendo un vasto arsenale con cui rispondere…”.
Al momento sappiamo solo che l’Europa esporta negli Usa merci con un surplus di 115 miliardi di euro all’anno; quali possano essere le ritorsioni minacciate e quali i loro possibili effetti non è dato sapere. Sappiamo peraltro di colloqui telefonici diretti tra il presidente francese e quello americano; magari ogni Paese comincia a cercare ciambelle di salvataggio per proprio conto. E nei singoli Paesi europei ci sono spinte dirette al ritorno di una nuova regolamentazione per i commerci interni alla Ue, a salvaguardia di patrimoni e produzioni localistiche, contro “liberalizzazioni” e “mondializzazioni” imposte da Bruxelles (con regolamentazioni che favoriscono tra l’altro pratiche di “concorrenza monopolistica” sovranazionale).
Ma l’Europa stessa ha messo dazi sulle importazioni nel vecchio continente; per esempio sulle barre di acciaio, con dazi di circa il 20% del valore delle merci. (l’acciaio assieme all’alluminio è quello su cui si è concentrata l’attenzione di Trump). Quindi l’accusa agli Usa di pratiche protezionistiche non sembra avere molto senso in un mondo in cui quasi tutti i Paesi hanno frontiere, con dazi sulle importazioni , sui transiti e sulle esportazioni (più rari); e , come ci dice Il Sole 24 ore, per ogni misura verso il libero scambio, ne vengono prese dieci che lo limitano.
Quindi, quando le prediche politiche indicano nella “mondializzazione” degli scambi il destino dell’umanità, parlano di una utopia del liberalismo economico (come lo fu quella comunista). “Noi europei trarremmo un grandissimo vantaggio a ricordarci di Eraclito, quando insegna come lanciare una freccia ,applicando alla corda e all’arco forze di senso contrario . Quando tutto spinge verso il “globale” , tirare verso il “locale”; ciò fa più equilibrio” scrive il filosofo francese Regis Debray. La direzione deve senz’altro essere l’apertura dei mercati e delle economie del mondo intero ; ma le pratiche protezionistiche possono convivere con quelle liberistiche , se si vuole uno sviluppo equilibrato e rispettoso delle esigenze del “locale” rispetto a quelle del “globale”. E l’Unione Europea dovrà tenerne conto.
STARTBLOG 12 marzo 2018 MARCELLO INGHILESI
domenica 11 marzo 2018
giovedì 1 marzo 2018
Il PD socialista
Il segretario del PD , che è nel Partito Socialista Europeo, dice in TV che il socialismo non rientra tra i suoi ideali..
già !
già !
I ministri di Di Maio
Di Maio sta a raccattare piante nell'orto ; non nel bosco. E le presenta come trofei colorati.
lunedì 26 febbraio 2018
Mondializzazione ?
startmag 25 febbraio 2017
Si è parlato molto in questi giorni di aumento del record delle esportazioni italiane, traino per lo sviluppo. Proviamo a capirne di più. L’export è cresciuto tra il 2016 e il 2017 di 31 miliardi di euro, da 417 a 448 (+7,4 %). Un buon risultato dovuto soprattutto a macchinari, medicinali, abbigliamento e pelletterie varie.
La cosa curiosa tuttavia è che normalmente per capire i trend del commercio estero si valutano assieme i valori di importazioni ed esportazioni; in questo periodo si è invece parlato solo delle seconde (come se in un’azienda, che vive di costi e ricavi, si parli solo di aumento del fatturato per dire che le cose vanno bene). In effetti a fronte di un aumento del 7,4 % dell’export, si è anche registrato un boom dell’import, da 367 a 401 miliardi di euro (+9%), con un saldo, in diminuzione, di 3 miliardi circa (da 50 a 47 miliardi).
L’Italia è un Paese manifatturiero, povero di risorse, che basa la sua economia produttiva sulla trasformazione di materie che il più delle volte vengono dall’estero. Potrebbe così, per esempio, avere un senso vedere l’andamento del rapporto tra importazioni ed esportazioni e non solo una delle due voci: fatto 100 il valore delle importazioni, abbiamo esportato 94 nel 1990, 106 nel 2000, 91 nel 2010, 112 nel 2017; cioè cifre attorno al 100 nel lungo periodo. E per capire meglio come stia andando il commercio estero del Paese, dovremmo anche analizzare i dati depurandoli dal grande deficit energetico, strutturale in Italia.
Potremmo fare meglio? Potrebbero la politica, il Parlamento e il Governo incidere per un rafforzamento stabile delle esportazioni sulle importazioni? Probabilmente sì, rinunciando a principi di moda come la “mondializzazione” sostenuta dalla finanza più che dall’economia – come un destino ineluttabile dell’umanità (sebbene quasi tutta questa “umanità” non sia affatto mondializzata) – o la lotta all’intervento dello Stato sull’economia del proprio Paese.
Particolarmente complesso sarebbe affrontare nello specifico la bilancia commerciale italiana. Qui vale la pena solo segnalare i dati più macroscopici del deficit commerciale, per merceologia e per aree geografiche. Gli autoveicoli sono la prima voce delle nostre importazioni (32 miliardi circa) e la seconda delle nostre esportazioni (23 miliardi circa), con un deficit commerciale di 9 miliardi circa. Siamo altresì deficitari, tra l’altro, nel settore della chimica (10 miliardi), dei metalli (7 miliardi) e della siderurgia (10 miliardi circa); per non dire dei 21 miliardi del petrolio.
Abbiamo disavanzi commerciali, tra l’altro, con la Germania (8 miliardi circa) e l’Olanda (11 miliardi circa, dato che dovrebbe essere approfondito, poiché potrebbe contenere più attività di trading che di produzione) e poi con Cina (15 miliardi circa), India (1 miliardo), Russia (3 miliardi). Si è parlato dei deficit e non dei surplus, per evidenziare solo alcuni dei problemi più attuali della nostra bilancia commerciale, al di là dei buoni risultati delle nostre esportazioni.
In conclusione: si potranno rivedere le regole e le ragioni degli scambi commerciali tra i Paesi? O tutto sarà lasciato al destino del libero mercato? La politica economica degli Stati nel commercio internazionale potrà ancora esistere o è solo una vecchia strumentazione da “rottamare”
Marcello Inghilesi
Marcello Inghilesi
sabato 27 gennaio 2018
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