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martedì 26 gennaio 2016

Contro i faccendieri della politica

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Le vere cause del debito pubblico italiano

Dal 1981 la Banca d’Italia, per decisione di Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, ha smesso di monetizzare il debito pubblico che è schizzato alle stelle. Una storia che si è ripetuta, amplificata, con l’Euro e la BCE.
di Domenico Moro da Pubblico 
In questi giorni la stampa tedesca ha attaccato con forza Draghi. Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Holger Steltzner, lo ha accusato di voler trasferire alla Bce i metodi della Banca d’Italia. Questa sarebbe al servizio dello Stato, di cui alimenterebbe le casse. Se ora la Bce finanziasse i debiti statali acquistandone i titoli, scatenerebbe l’inflazione e aggraverebbe la crisi dell’eurozona.
Come ha fatto notare anche il Sole 24ore, le critiche di Steltzner alla Banca d’Italia sono infondate. A partire dal 1981 la Banca d’Italia ha “divorziato” dal Tesoro e non è più intervenuta nell’acquisto di titoli di Stato. Ciò che non viene detto, però, è che quella lontana decisione contribuì a produrre non solo l’enorme debito pubblico ma anche il primo attacco ai salari. L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell’eurozona e, tra 1991 e 2005, sempre al di sotto di quella tedesca.
Nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano? Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%.
Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue. La crescita dei debiti pubblici dipende da molte cause, soprattutto dalla necessità di sostenere le crisi e la caduta dei profitti privati che, dal ’74-75, caratterizzano ciclicamente i Paesi più avanzati. Tuttavia, è evidente che politiche sbagliate di finanza pubblica possono rendere ingestibile la situazione del debito, come è avvenuto in Italia. Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca centrale, ha avuto l’effetto di far schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, di far esplodere il debito totale.
Inoltre, la mancanza del cordone protettivo della Banca d’Italia espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali. Fu quanto accadde nel 1992, quando gli attacchi speculativi alla lira costrinsero l’Italia ad uscire dal Sistema monetario europeo e a svalutare. Insomma, non solo Steltzner ha torto riguardo alla Banca d’Italia, ma è il principio stesso dell’“autonomia” della Banca centrale, da lui tanto tenacemente difeso, ad aver dato per trent’anni in Italia gli stessi risultati negativi che ora sta producendo nell’eurozona.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto quale fu la ragione del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Ce lo spiega il suo autore, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta. Uno degli obiettivi era quello di abbattere i salari, imponendo una deflazione che desse la possibilità di annullare “il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dall’accordo tra Confindustria e sindacati”. Infatti, nel 1984 con gli accordi di San Valentino la scala mobile fu indebolita e nel 1992 definitivamente eliminata. Anche oggi, come allora, le presunte “necessità” di bilancio pubblico sono la leva attraverso cui ridurre il salario, in Italia e in Europa. Con la differenza che oggi l’attacco si estende al salario indiretto, cioè al welfare.

lunedì 11 gennaio 2016

Eccone un altro

Eccone un altro ; e questo da dove spunta ?

Unione Gufi Italiani UGI

NUNTIO VOBIS GAUDIUM MAGNUM
NOTIZIONAAAA!!!!
E' nata l'Unione Gufi Italiani , UGI ; ci stanno gufi, gufetti, gufoni, bianchi , rossi, grigi, pensatori, lavoratori calmi, giudici, filosofi, artigiani, studiosi, quasi scienziati e tanti altri ; sono esclusi gli agitati, gli sparaballe e quelli di moda ( noi siamo antichi )

domenica 10 gennaio 2016

Petrolio e dintorni


Chi brinda (e chi no) per il petrolio a basso costo

Chi brinda (e chi no) per il petrolio a basso costo
L'analisi di Marcello Inghilesi

Il crollo del prezzo del petrolio (55% negli ultimi sei mesi, da 71 dollari a barile a 32 dollari a barile) ha fortemente avvantaggiato i Paesi importatori di energia e tra loro in particolare quelli più industrializzati; in effetti, bisogna unire alla caduta del prezzo del petrolio anche quella degli altri prodotti energetici fossili, carbone e gas.
In Italia la fattura energetica incide per il 3,5-4 % sul Pil. Tenuto conto della rivalutazione del dollaro sull’euro, questa caduta dei prezzi delle materie prime energetiche potrebbe trasformarsi da sola nel recupero di circa un punto percentuale di crescita del Pil. In situazione, più o meno analoga, si sono trovati quasi tutti gli altri Paesi industrializzati europei.
Gli Usa, d’altro lato, in questi ultimi anni hanno teso a rendersi totalmente autonomi nel loro fabbisogno energetico, avendo sviluppato nel Paese una forte produzione di gas da scisti (shale gas), con nuove tecnologie di estrazione e di lavorazione (peraltro fortemente contestate dagli ambientalisti).
Oggi addirittura, nonostante la caduta dei prezzi petroliferi, il governo federale ha riaperto le porte all’export del proprio “oro nero”. Non solo: molti americani stanno spingendo perché il governo riveda le proprie spese, militari e non, per proteggere l’area petrolifera mediorientale, in passato strategica per i loro fabbisogni petroliferi.
I Paesi esportatori, di contro, devono ora affrontare situazioni difficili e ormai sempre più complicate. Si dice che all’interno dell’Opec (cartello dei Paesi esportatori di petrolio: Algeria, Angola, Ecuador, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Indonesia), l’Arabia Saudita abbia richiesto e ottenuto l’abbassamento dei prezzi per una serie di motivi, tra i quali la lotta contro l’eventuale espandersi dello shale gas americano e anche (soprattutto) la lotta contro l’Iran, capace, attraverso il surplus economico da export petrolifero, di sostituire l’Arabia Saudita come potenza di riferimento dell’intera area.
Lo scontro tra i due Paesi, Arabia Saudita e Iran, non deve essere letto solo in chiave religiosa; da un lato ci sono i sauditi e i loro alleati del Golfo, che hanno nel petrolio l’unica vera fonte di ricchezza; dall’altro ci sono gli iraniani, che vivono in un sistema economico più complesso fatto sì di petrolio, ma anche di tecnologia, industrie, cultura e, quindi, potenzialmente più completi per il ruolo di Paese guida nell’area. L’Arabia Saudita peraltro sembra ancora mantenersi economicamente molto solida, nonostante abbia perso circa il 70% delle sue entrate petrolifere, con l’effetto di una perdita statale valutata per il 2015 in 98 miliardi di dollari circa; a fronte di questa situazione il governo saudita ha ridotto la spesa pubblica di 135 miliardi di dollari e ha previsto per il 2016 uno sviluppo del Pil del 3%, con un deficit pubblico che è passato dal 3,4 al 20,7 % (con un valutazione del prezzo del barile a 26 dollari). Gli iraniani, per contro, sembrano indifferenti alla tempesta petrolifera in corso; valutano il prezzo del barile per il 2016 attorno a 36 dollari ed esporteranno il loro petrolio soprattutto in Cina, India e Corea del Sud.
A parte dovrebbero essere affrontate le “sofferenze”, dovute a questa crisi dell’offerta petrolifera, di Paesi africani, come l’Algeria o la Nigeria, che sono esposti al terrorismo interno di Boko Haram; o di Paesi americani, come il Venezuela, scosso da gravi scontri politici interni.
Alcuni analisti hanno attribuito l’origine del crollo del prezzo del petrolio anche alla volontà degli Usa (che da sempre sono molto influenti nelle decisioni Opec) di contrastare gli interessi russi nell’export energetico. In effetti, la Russia è stata messa in ginocchio con l’embargo occidentale a seguito della crisi ucraina e oggi dalle minori entrate dovute al suo importante export di petrolio e gas (esso rappresentava il 65% di tutte le sue esportazioni e il 34 % del suo Pil). Gli economisti russi prevedono per il 2016 una diminuzione del Pil di circa il 5 % e il rublo ha perso circa il 60% del suo valore sul dollaro americano. In generale, il Fondo monetario internazionale valuta attorno al 2,25 % la diminuzione complessiva del Pil nei Paesi esportatori di petrolio.
In conclusione, la bufera petrolifera è in pieno svolgimento e, come è sempre stato, preannuncia grandi instabilità economiche e politiche. Oltretutto con le guerre in corso e il terrorismo diffuso, ogni previsione sull’andamento dei mercati energetici può essere altamente aleatoria: anche se l’ufficio studi dell’Opec, come ipotesi di lavoro, valuta attorno 30 dollari a barile il prezzo del petrolio nel prossimo lungo periodo, con punte di 70 dollari nel 2020 e 96 dollari nel 2040 (come riescano a fare questi conti resta un po’ misterioso).
L’Italia sarà dentro alla bufera: tutta la questione sarà quella di riuscire a trasformare i grandi problemi in grandi occasioni di sviluppo; le possibilità ci saranno.

venerdì 8 gennaio 2016

DECHEANCE

Perché in Francia ci si accapiglia sulla nazionalità

Perché in Francia ci si accapiglia sulla nazionalità
L'analisi di Marcello Inghilesi
“Décheance”, decadenza dalla nazionalità. La décheance sarà il tormentone del prossimo mese in Francia. Gli attentatori del 13 novembre a Parigi erano quasi tutti francesi, con doppia nazionalità (magrebini). Quindi, nella lotta anti-terroristica, il presidente Hollande e il suo governo hanno preannunciato di voler levare la nazionalità francese a coloro che compiano atti di “guerra” contro la Francia e che abbiano altra nazionalità. Fin qui per il cittadino comune tutto sembra normale. Ma in Francia non lo è.
Sembra che il Paese si porti ancora dietro il complesso di colpa per le colonie; molti abitanti di quelle terre si sono trasferiti in Francia e godono di doppia nazionalità, essendo essa possibile nei propri Paesi d’origine. D’altronde la “France républicaine” è laica, multietnica e quindi aperta ad accogliere gente da tutto il mondo, a cominciare dalle sue ex colonie. Si può essere francesi per ius soli (nascita in Francia), per discendenza (da un o una francese), per matrimonio (con un o una francese), per studi e residenza e così via.
Il “sistema” sembra essere sempre più pieno di buchi; tanto che non esistono statistiche ufficiali in materia; ma si parla di più di 3 milioni e mezzo di persone con doppia nazionalità. Il governo vuol colpire solo quelli che si sono macchiati di atti di terrorismo. Ma la discussione si è allargata ai principi, ai valori “repubblicani”; un cittadino francese è francese e basta; la sua origine non interessa. Se si comincia a fare delle eccezioni, si corre il pericolo di scivolare su un nazionalismo vecchio e superato da tempo.
D’altra parte le “antiche” famiglie francesi, povere o ricche che siano, cominciano ad essere stufe delle violenze procurate da “neo-francesi” e per di più, con nazionalità plurime. Il dibattito si è aperto, anche perché il ministro della giustizia, Christiane Taubira (già tra i capi della guerriglia anti-francese per l’indipendenza della Guyana, che peraltro è rimasto territorio d’oltremare francese), si è dichiaratamente schierata per lo ius soli, assieme a quasi tutta la sinistra socialista e non.
La proposta governativa avrebbe effetti pratici molto limitati; ma ormai la discussione è scivolata sui valori e quindi vengono scomodati i massimi sistemi: per esempio si è sollevata la questione del rapporto cittadino-Stato nelle repubbliche (ove il cittadino deve essere sovrano) e nelle monarchie (ove il cittadino è assoggettato al re e la nazionalità perde di rilievo). A eccitare gli animi forse ha anche contribuito un recente romanzo di grande successo, scritto da Michel Houellebecq (Sousmission), ove si prevede in un prossimo futuro un presidente francese mussulmano, di origine magrebina.
Ma il problema non è peregrino in un mondo sempre più “piccolo” e internazionalizzato. La nascita di bambini in terre lontane da quelle delle proprie origini, i matrimoni, le migrazioni, il lavoro, rappresentano tutti occasioni di legami “nazionali” con storie e territori diversi. La scelta in fondo, per ogni Paese (non solo per la Francia, quindi) è tra una persona-una nazione o una persona-più nazioni. Questo secondo caso, anche in termini giuridico- amministrativi, non è questione di poco conto. La complessità del problema viene pure dal fatto che i più di 200 Paesi del mondo si sono naturalmente dati regole diverse in materia, tanto che il gioco dei passaporti, a fini utilitaristici e individuali, è sempre più praticato.
Anche la Unione Europea non ha un sistema “comune”; si va Paese per Paese, da un sistema al suo opposto. A Bruxelles si discute della taratura delle pesche o dei mandarini; ma i valori delle convivenze restano argomenti tabù.

OIL & PIL

Quanto ci fa guadagnare nel Pil il crollo del prezzo del petrolio ? e quanto la diminuzione di valore dell'euro sul dollaro ( fatta la compensazione tra i due fenomeni , determinati dai mercati mondiali ) ? Un punto percentuale circa, dicono. Annunciazione Annunciazione , veloce e spregiudicato ( così lo hanno definito alcuni industriali ) dichiara che l'aumento del Pil è un + 0,6- 0,8 % : l' Italia ha cambiato verso , grazie a lui , che ha modificato il prezzo del petrolio nel mondo e il cambio euro-dollaro nella finanza planetaria ; non è riuscito ad arrivare a quell' uno automatico ( ci sono riusciti quasi tutti gli altri ); siamo ancora alla virgola; ma insomma ; l'Italia ha cambiato verso : nelle chiacchiere.

Valerio Zanone

Ciao Valerio !!!
Fu un liberale puro e anomalo. Mai con la destra. (ANSA)
ANSA.IT

DIJSSELBLOEM (mica cacchi )

e questo chi è ? non si può andare avanti così ; ma non avevamo battuto i pugni sul tavolo ? abbiamo sbagliato tavolo ? era un tavolino del bar ?
Il presidente dell'Eurogruppo avverte: è un margine che si può usare solo una volta (ANSA)