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lunedì 22 luglio 2024

 LO SCANDALO DEI MEDIA

Ucrainagate: era vera la corruzione dei Biden

Per aver fatto lo scoop sulle email di Hunter Biden, figlio dell'attuale presidente americano, il New York Post era stato bannato dai social network. Trump, che aveva chiesto al presidente Zelensky di investigare sugli affari loschi dei Biden, aveva subito il processo di impeachment. Tutto venne liquidato come "disinformazione". Ma era tutto vero, come ammette anche il New York Times. 

ESTERI 21_03_2022
Joe Biden e il figlio Hunter Biden

Le mail di Hunter Biden non sono mai state “disinformazione”: è tutto vero, è stato tutto autenticato. È quello che, in queste ore, ha ammesso il New York Times riferendosi agli scandali che hanno coinvolto il figlio dell’attuale presidente Usa, già sotto inchiesta federale. Era una bomba. Il tipo di scoop che avrebbe potuto produrre mesi di titoli - e per di più, Hunter Biden non ha mai negato che il laptop fosse suo - ma tutto venne liquidato come disinformazione russa.

Fu il New York Post l’unico giornale a lanciare la storia, ma venne punito dalla Silicon Valley. Twitter chiuse l'account del Post per 16 giorni e impedì di condividere qualsiasi informazione sul figlio di quello che sarebbe poi diventato il presidente degli Stati Uniti d’America. Chiunque tentò di postare la storia vide i propri account bloccati. Facebook affermò candidamente che avrebbe “limitato la pubblicazione” del caso rendendo la condivisione impossibile. Il blocco fu efficace: parlare di Hunter Biden significava essere un teorico della cospirazione. Ora, a 14 mesi dall'inizio del nuovo corso alla Casa Bianca, il New York Post rivendica la rivincita con un editoriale dal titolo, “Il New York Times odia dirvi che il Post ve l’aveva detto”.

È necessario, però, un salto indietro di oltre 17 mesi, quelli che il Nyt ha impiegato per riconoscere la veridicità di una vicenda che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo. L’articolo del Post intitolato Biden’s secret Emails venne pubblicato ad ottobre 2020, nelle settimane cruciali dell’ultima campagna elettorale presidenziale. Circa 40mila e-mail e centinaia di foto erano state trovate su un computer che Hunter Biden aveva lasciato in riparazione in un negozio nel Delaware, e che non venne mai ritirato. L’inchiesta delineò l’intreccio tra le vicende familiari dei Biden, il percorso politico di Joe e le controversie internazionali di Hunter.

Ad essere interessante, infatti, non era solo il materiale che testimoniava l’utilizzo di droghe da parte del figlio dell’attuale presidente Usa e la sua frequentazione di prostitute. Ma la posta elettronica che rintracciava documenti relativi ad ingenti movimenti bancari e traffici d’influenza internazionale, che, nella maggior parte dei casi furono possibili per la posizione in cui Hunter si trovava grazie al ruolo del padre. Joe Biden avrebbe incontrato i soci d’affari ucraini, russi e kazaki di suo figlio a una cena a Washington Dc, mentre era vicepresidente. La conferma arriva proprio dal laptop abbandonato, ora in possesso dell’Fbi. La cena, tenutasi il 16 aprile 2015, si svolse nella “Garden Room” privata del Café Milano, Georgetown, dove si riuniscono gli uomini più potenti del mondo. E solo un anno prima, ad aprile 2014, la Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell'Ucraina (attiva sia su gas che petrolio), assume per una consulenza Hunter Biden con uno stipendio di 50mila dollari al mese.

Il figlio di Biden, nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze nel campo energetico, venne assunto pochi mesi dopo la decisione di Obama di affidare al suo vice il compito di seguire la transizione politica in Ucraina con il presidente Viktor Yanukovich costretto dalla rivoluzione del Maidan all’autoesilio in Russia per evitare la guerra civile. Sono i mesi in cui il Donbas - territorio ricco di giacimenti di gas non ancora esplorati e finiti nel mirino della Burisma Holdings - inizia a rivendicare l’indipendenza da Kiev. Una presenza in Ucraina, quella di Hunter, che a quanto scrisse il New York Times, suscitò “forti preoccupazioni” in Obama.

Il potenziale conflitto d’interessi affiora, però, solo nel maggio 2016. Joe Biden vola a Kiev per informare il presidente Petro Poroshenko che la garanzia di un prestito ammontante a un miliardo di dollari era stata approvata per permettere all’Ucraina di fronteggiare i debiti. Ma si trattava a tutti gli effetti di aiuto “condizionato”: se Poroshenko non avesse licenziato il procuratore capo, Viktor Shokin, nello stretto giro di sei ore, Biden sarebbe tornato negli Usa e l’Ucraina non avrebbe più avuto alcuna garanzia di prestito.

Argomentazione convincente, che costrinse Kiev ad accontentare l’allora vicepresidente con delega alla politica nell’ex Paese sovietico. Sarà lo stesso Biden a vantarsi di aver minacciato l’allora presidente ucraino Poroshenko, “Li guardai negli occhi e dissi, io parto tra sei ore, se il procuratore non è stato licenziato, non avrete i soldi. Beh, il figlio di pu****a è stato licenziato”. Shokin stava indagando sull’azienda nel cui board figurava Hunter.

In cinque anni, la posizione di consigliere di amministrazione presso la compagnia energetica ucraina è valsa a Hunter ben 4 milioni di dollari, compensi che nelle proprie memorie lui stesso ha definito: “soldi divertenti”. Il figlio di Joe Biden aveva già ottenuto, nel frattempo, un incarico presso il National Democratic Institute (Ned), un’organizzazione il cui fine è quello di “promozione della democrazia”, finanziata dagli Stati Uniti, che ha contribuito a rovesciare il governo filo-russo di Yanukovich insieme all’Open Society di George Soros.

Fu, invece, Tony Bobulinski, ex socio in affari di Hunter Biden, a denunciare gli affari dei Biden in Cina. Bobulinski dichiarò di essere stato contattato per concludere un affare con la compagnia energetica Cefc - grande azienda cinese legata al Partito Comunista. Il contatto sarebbe avvenuto alla vigilia di Natale del 2015, il 20% dei proventi sarebbe andato a Hunter Biden, il 20% a Jim Biden, fratello del vicepresidente. Stando ad un’email dello stesso Hunter Biden, il 10% della quota di Hunter Biden sarebbe toccato, però, al “grande uomo” - modo con cui veniva indicato il padre. Due anni dopo, Bobulinski racconterà di aver incontrato anche personalmente Joe Biden, ormai ex vicepresidente, sempre per l’affare con la Cefc.

L’Ucrainagate scoppia nel bel mezzo della campagna elettorale del 2020. E fece parecchio scalpore, specie sui media italiani, la richiesta di Trump al presidente Zelensky di aprire un'inchiesta nei confronti del figlio di Biden per chiarire i rapporti con la Burisma Holdings. Ma Trump finì solamente con l’essere accusato di pressioni per un vantaggio politico, venne chiesta la procedura di impeachment, e nessuna indagine sui Biden venne aperta dal governo ucraino.

Qualche mese dopo Joe Biden sarà eletto presidente degli Stati Uniti. È il dicembre 2020, il New York Times intervista Zelensky e gli chiede dell’esito delle presidenziali Usa: “Joe Biden conosce l'Ucraina meglio del suo predecessore. Anche prima della sua presidenza aveva, per così dire, relazioni profonde con l'Ucraina e comprende bene i russi, capisce bene la differenza tra Ucraina e Russia e penso capisca bene la mentalità degli ucraini”.

 

 


Concarneau : la banchina di Liliane

giovedì 4 aprile 2024

 ZELE'

Il nemico del mio nemico è mio amico. È questa la frase che sintetizza meglio i rapporti tra il governo ucraino e Denis Kapustin, un russo di estrema destra definito senza mezzi termini neonazista dal Bnd, il servizio federale di intelligence tedesco, alla guida del Corpo dei Volontari Russi (Cvr), la più grande delle tre milizie russe anti-Cremlino che combattono per l’Ucraina e che hanno come obiettivo rovesciare Vladimir Putin. In un’intervista rilasciata a Politico in un albergo nel centro di Kiev, Kapustin spiega di non volere neri e omosessuali nella sua milizia e si definisce «decisamente di destra», ma respinge l’etichetta di neonazi. Di certo il suo ruolo nella guerra è un’arma a doppio taglio per Kiev. «Noi siamo i cattivi, ma combattiamo contro quelli davvero cattivi», scherza Kapustin, che nelle scorse settimane ha guidato un’operazione in grande stile dei paramilitari nella regione russa di Belgorod, con scontri andati avanti per giorni.

martedì 15 agosto 2023

Miliziani "ucraini"

 

Chi sono gli stranieri che combattono per Kiev

Sono diversi i gruppi di miliziani che combattono a fianco dell’esercito ucraino, fra mercenari, volontari e paramilitari, pur non rientrando ufficialmente nell’organico militare. Gran parte di queste “truppe ausiliarie” è formata da cittadini russi dagli ideali fortemente antiputiniani. Il gruppo più nutrito e famoso è forse il Corpo dei volontari russi (detto RDK, “Russkiy Dobrovolcheskiy Korpus”), responsabile soprattutto delle incursioni nelle regioni russe di Belgorod e Bryansk e oggetto di un’inchiesta giornalistica per posizioni neonaziste. Come del resto anche le milizie Centuria e Pravyj Sektor. Da cittadini della Federazione è formata anche la Legione per la libertà della Russia (Lehion Svobodnyi Rossiyi).

Sono state segnalate in Ucraina anche le milizie polacche nazionaliste del PDK (Corpo dei volontari polacchi). C’è poi il corpo ufficialmente inquadrato dallo Stato Maggiore di Kiev che annovera cittadini stranieri, detta appunto Legione Straniera, e che va a integrare le Forze Territoriali. Vi confluiscono combattenti ed esperti da mezzo mondo, passati da un totale di circa 30mila un anno fa agli appena 4mila effettivi attuali. Al loro interno si contano anche contingenti bielorussi (BDK e Pahonia Regiment) e ceceni (Battaglione Dudayev e Battaglione Ichkeria).

Ci sono infine gruppi militari e paramilitari che si pongono a metà tra l’autonomia totale e l’inquadramento nell’esercito regolare, come la Legione Georgiana e altre formazioni provenienti dal Caucaso e dalle Repubbliche Baltiche. Kiev impiega questi contingenti perlopiù in azioni di sabotaggio e guerriglia, parallelamente all’attacco tramite droni a obiettivi strategici (vie di comunicazione, depositi di carburante o centrali energetiche). La paga è praticamente identica a quella dei soldati regolari.

Anche nel caso dei legionari georgiani la trasparenza non è tuttavia il primo dei pensieri di Kiev. Proponendosi come scopo principe “la distruzione di Vladimir Putin”, la Legione caucasica non fa mistero di non considerare “umani” i cittadini russi, senza distinzione fra militari e civili. Attualmente è composta da circa mille uomini provenienti soprattutto da Georgia e Caucaso meridionale, ma anche da altre nazionalità, compresi una cinquantina di britannici.


"Qui finanza" 4 agosto 2023

sabato 22 luglio 2023

Quinto anno

 


Cinque anni fa ci lasciasti. Sei sempre con noi, con me, figli e nipoti, che ti chiamano Lilli. 5 giorni fa mi hanno messo questo aggeggio nel petto : tiene in vita il cuore : l'ho chiamato Li ; mi salverà per il tempo che mi è rimasto...

mercoledì 28 giugno 2023

 

C’ERA UNA VOLTA IL PIANO NAZIONALE TRASPORTI

MARCELLO INGHILESI

“Cami”, “cami” e poi “cami” ( i camion plurale in livornese ; chamions erano i carretti francesi ; diventarono camions e il termine camion è stato adottato nei Paesi latino-europei ; in italiano non ha plurale ; quindi giustamente i labronici lo hanno italianizzato in “cami”). Le autostrade italiane sono diventate ormai delle camionabili, che tollerano anche le auto , ma se stanno buone e non disturbano la complicatissima marcia camionabile a cui tutto è concesso, compresa la continua e pesante violazione di limiti di velocità e altre regole minime previste nel codice della strada . Solo miracoli impediscono stragi quotidiane. Ma attenzione a non contar troppo sui miracoli !

C’era una volta il Piano nazionale dei trasporti. Il principale problema da risolvere in Italia era il trasporto merci, essendo il Paese una penisola lunga e montagnosa con poche autostrade realizzabili. Quindi si ragionò sul trasporto merci su gomma, su rotaia o su acqua. Rotture di carico per le merci su strada con rete di interporti e con possibilità di passare dai grandi camion e tir a una diffusione di leggeri camioncini. Porti merci ferroviari , autonomi e negli interporti. Autostrade del mare.

Oggi il rapporto tra il trasporto su rotaia e quello su gomma in Italia è circa 1 a 10. Le merci sono quasi tutte per strada e non solo nelle autostrade. E’ il libero mercato, caro mio ! In questo libero mercato i produttori di camion e le imprese che li utilizzano hanno annientato le strade ferrate delle merci e anche le autostrade del mare ( ridotte a trsportare solo le merci degli scambi internazionali, che interessano poco o niente la potente lobby del camion ).

E il piano dei trasporti merci ? Nessuno ne parla più. Proviamo a lanciare sassi nello stagno.

La TAV , Torino- Lyon in costruzione , trasporterà merci ? Quante ? Da dove a dove ? Con quali regole ? Il treno esiste già tra Torino e Lione ; ma non sembra trasportare molte merci ; i cami dunque resteranno a occupare le autostrade franco-italiane, il Monte Bianco e il Frejus ?

Una volta i binari arrivavano dentro molti porti italiani ; con la gomma la rotaia è stata eliminata. Dovremmo invece tornare a chiedere le rotaie dentro ai porti, collegate a stazioni di smistamento delle merci per lo più su altre rotaie. Le merci movimentate sui porti dovrebbero avere come base di trasporto e di distribuzione, la ferrovia (che ha come principale difetto quello di non piacere troppo ai signori Agnelli d’Olanda… ).

Gli interporti esistenti dovrebbero avere soprattutto una vocazione ferroviaria. E molti altri interporti dovrebbero essere creati, più o meno grandi. Tanto per fare un esempio polemico toscano , l’interporto di Firenze dovrebbe essere fatto nelle arre di quello stupido aeroporto che i comunardi fiorentini vogliono tenere come un fiore all’occhiello. Un interporto là sarebbe già collegato a tutta la rete ferroviaria nazionale. ( La Toscana ha già un aereoporto tecnicamente grande e perfetto a Pisa : basterebbe collegarlo a Firenze , 80Km ca., con un treno monorotaia ultra

veloce 200-300 km/ h, da mostrare e visitare comme esempio di alta tecnologia italiana, nelle terre di Leonardo ).

La rete dei porti e interporti merci dovrebbe essere progettata per tutta Italia ; e laddove le ferrovie fossero deficienti dovrebbero essere costruite o ricostruite.

Il trasporto merci su ferrovia sarebbe più lento ? Oggi forse si , dato che non c’è un sistema merci ferroviario da comparare a quello stradale. Ma a logica non dovrebbe essere più lento, essendo la rete su ferro disponibile giorno e notte e utilizzabile a velocità superiore al trasporto su gomma.

Sarebbe forse diseconomico ? Assolutamente no , considerati tutti i costi del trasporto su gomma , diretti e indiretti (non solo le autostrade , ma anche le strade statali, le provinciali e talvolta anche le comunali italiane sono percorse da TIR , che le rendono pericolose, costose di manutenzione e ambientalmente insostenibili).

Più complicato ? Oggi forse si, sempre trattandosi di progettare un sistema nuovo da avviare e rodare , anche se progressivamente.

E veniamo al punto più contestato e più delicato. La gomma è più funzionale al trasporto “porta a porta” ( “door to door “, come si dice nella lingua delle scimmie ), anche se necessita talvolta di una o più rotture di carico ( prevalente attività degli attuali interporti ). D’altra parte dagli ultimi interporti sul territorio potrebbero entrare in funzione i furgoncini merci per le “consegne a domicilio”; quindi con una rottura di carico, che non sarebbe proprio una tragedia sia per i costi che per i tempi di circolazione delle merci. Quindi le merci partirebbero con un camioncino fino al più vicino interporto, poi sarebbero trasportate su rotaia e infine consegnate da un altro camioncino.

Insomma le merci , tutte le merci dovrebbero seguire l’esempio del cammino della elettricità : trasporto in “alta, media e bassa tensione” , lasciando la bassa tensione alla “gomma”, ai furgoni o furgoncini.

In questi giorni l’Austria si è ribellata al passaggio sul suo territorio di migliaia di TIR dannosi e inquinanti : e ha ragione, pur in violazione delle regole europee ( a dimostrazione che spesso queste regole sono farlocche ) E in futuro tutti insorgeranno contro l’abuso dei mezzi pesanti. Già oggi in un ipotetico referendum tra “ferro” e “gomma” sul trasporto merci , i cittadini probabilmente in larghissima parte si schiererebbero per il “ferro”.

Tutto questo è avveniristico, onirico, astratto ? No, per l’Italia , data la sua configurazione fisica,sarà una via obbligata . E’ curioso che di tutto questo la politica “verde”, nella cosiddetta transizione energetica, non ne faccia cenno , lasciando il trasporto merci ad appendice dei propri disegni.

Avere ideali,disegnare , progettare e realizzare una volta era funzione della politica : ora non più.

giovedì 22 giugno 2023

59 mesi fa

« L’Arbre et la graine » 

Quelqu’un meurt, et c’est comme des pas qui s’arrêtent.
Mais si c’était un départ pour un nouveau voyage ?

Quelqu’un meurt, et c’est comme un arbre qui tombe.
Mais si c’était une graine germant dans une terre nouvelle ?

Quelqu’un meurt, et c’est comme une porte qui claque.
Mais si c’était un passage s’ouvrant sur d’autres paysages ?

Quelqu’un meurt, et c’est comme un silence qui hurle.

                                                    Mais s’il nous aidait à entendre 

                                                    la fragile musique de la vie ? 


                                                                                             Benoit Marchon

lunedì 22 maggio 2023


 

Liliane aux sables blancs

sabato 22 aprile 2023

Foto di Liliane


 La cima.

57 mesi fa partisti.

mercoledì 22 marzo 2023

Le foto di Liliane

 




BASSA MAREA