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mercoledì 8 giugno 2011

Cera una volta l' ICE


C’ era una volta l’ICE ( Istituto per il Commercio Estero ) ; era un ente parastatale che vivacchiava, anche con qualche prestigio, in anfratti dello Stato e delle Ambasciate. Negli anni ‘80, il Governo fece dirigere l’Istituto a Fausto De Franceschi, giovane manager industriale . Egli portò all’interno dell’ Istituto una ventata di Azienda, di professionalità e di entusiasmo. Organizzò un giovane gruppo di dirigenti interni , che hanno continuato a guidare l’ Istituto fino a qualche anno fa. L’Ente era ingabbiato nelle armature metalliche pubbliche; la burocrazia schiacciava ogni spinta alla efficienza aziendale . Nel 1989 il Ministro Renato Ruggiero propose al Parlamento di fare uscire l’ICE dal parastato. Ci furono molte mediazioni, che produssero una Legge di riforma ambigua ; l’ICE usciva dal parastato; ma restava ente pubblico , se pur con una contabilità industriale di tipo privatistico . Il Partito Comunista si oppose a portare l’ICE tra gli Enti pubblici economici ( come per esempio erano ENI o ENEL ) e tanto meno a trasformarlo in società per azioni , se pur con capitale di controllo pubblico. In quegli anni l’ICE ebbe molti successi , alcuni dei quali clamorosi ( tra i tanti altri, la mostra Italia 2000 a Mosca ). Poi il golpe giudiziario nel 1993 spazzò via l’ICE ,accusato di irregolarità amministrative, per l’affitto di un ufficio negli Stati Uniti ( irregolarità inesistenti, come la stessa Magistratura avrebbe sentenziato dieci anni dopo ) ; così l’ Istituto ritornò ad essere ente pubblico , parastatale , per la gioia dei poi-comunisti. Quindi rientrò nell’ombra di gestioni sussurrate, di ragnatele burocratiche, di compressione delle capacità e dell’entusiasmo di gruppi professionali maturati nell’ ICE, da De Franceschi in poi. Ci fu addirittura un presidente che si attardava in ufficio fino a notte inoltrata, a studiare qualcosa ; i portieri gli spengevano le luci del palazzo , per mandarlo a casa ; l’ICE tornò povero, sonnacchioso, triste, girovago nei soliti anfratti del “potere” istituzionale.
La Confindustria ha ora proposto con clamore di privatizzare l’ICE ; ha riscoperto l’acqua calda di venti anni fa, vendendola come una trovata di ingegno attuale.
Cosa fa l’ICE ? Promuove le grandi manifestazioni economiche e commerciali dell’Italia nel mondo ; assiste le imprese per l’import e l’export; fa ricerca e formazione in commercio estero. Tutte attività , che ormai nulla hanno a che vedere con un ente pubblico, nel senso giuridico e tradizionale del termine. Ci sono tre Ministeri che gli stanno addosso ; quello dello Sviluppo, per le strategie commerciali; quello dell’Economia, per l’uso delle risorse pubbliche; quello degli Esteri, per le relazioni economico-commerciali con gli altri Paesi. Quindi , con tre padroni pubblici di riferimento, con pochi soldi e soprattutto con un fiume di interventi diretti nel mondo di altri enti pubblici regionali e locali, di camere di commercio , di associazioni industriali , commerciali, di categoria, la vita dell’Istituto sta diventando impossibile . Soluzioni ?
O la vecchia idea della privatizzazione , costruendo una società di servizi all’impresa e di organizzazione di eventi promozionali, con partecipazione pubblico-privata .
Oppure il progetto di spostare l’Istituto nel quadro del Ministero degli Esteri , per la rete degli uffici nel mondo e in quello dello Sviluppo per le strategie commerciali e le manifestazioni, con possibili economie di scala ricavabili dalle due fusioni . Gli uffici e le attività locali italiane potrebbero essere trasferiti direttamente alle Regioni.
Queste non sono  idee nuove ; esse sono datate, ma ancora valide , soprattutto se misurate con la situazione soporifera attuale.
Quindi chi può si dia da fare ; ridia vita all’Istituto e alle sue capacità potenziali, tuttora compresse ; lo Stato potrebbe recuperare anche un po’ di risorse , disperse in mille rivoli, burocratici e insensati.

Pubblicato da " L'Occidentale" l'11 giugno 2011

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