Per capire l'aggressione di piazza del Duomo bisogna scavare nel sottosuolo culturale italiano, nel linguaggio avvelenato che ormai ci sommerge dalla mattina alla sera. La violenza è sempre ‘‘il prodotto della notte della politica, di un tutto-è-permesso che addormenta la sensibilità civile e la responsabilità della ragione.
di Giuliano Ferrara da Panorama
Dietro quella storia oscena del demente e vigliacco che spara un oggetto di marmo contro la faccia di Silvio Berlusconi non c'è solo la cupa condizione della lotta politica in Italia, che dura inalterata dal Cinquecento, che riemerge a tratti nelle diverse forme del banditismo fazioso, del lavacro ideologico realizzato sulla pelle delle persone, della vendetta civile in ogni stagione, anche la più felice, della storia degli italiani. Dietro l'intolleranza violenta di un momento c'è la farsa mite, strisciante, della tolleranza universale. Qui è lo scandalo.
Quando per la prima volta la residenza privata di un uomo politico fu presa di mira da una folla inferocita e mentalmente insana, quando al termine di un comizio dell'opposizione il manipolo dei linciatoti e lanciatori di monetine si trasferì sotto l'Hotel Raphael di Roma dove abitava l'uomo nero del momento, Bettino Craxi, nel nostro Paese era in pieno corso una rivolta plebea contro i partiti e le classi dirigenti, animata e nutrita da un pezzo dell'establishment con l'appoggio codino, reazionario, di un manipolo di gazzettieri e togati decisi a tutto, perfino a servirsi di un poliziotto dai comportamenti assai discutibili, in cerca di gloria politica, chiamato Antonio Di Pietro. Il cocco di Enzo Biagi e dell'avvocato Vittorio D'Ajello, il beniamino della salotteria milanese più intrisa di mediocrità.
Craxi doveva venire da me in tv, quella sera, ciò che fece dopo avere superato lo sbarramento linciatorio, infine scortato da uno squadrone di carabinieri. Mi sembrò enorme quel che era successo, proprio per la violazione dello spazio privato di un uomo pubblico, ma non ci fu il becco di un commentatore, e voglio ignorare i nomi spesso insospettabili dei fomentatori e rinfocolatori dell'odio forcaiolo, che comprendesse il messaggio osceno di un'aggressione sotto casa: non è la funzione che contestiamo, non veniamo a un tuo comizio, non cerchiamo di impedire o disturbare una manifestazione politica del tuo partito, no, veniamo sotto casa tua, dove dormi e abiti e mangi e vivi, perché è te in persona che odiamo, sei tu il bersaglio mobile della nostra indignata furia e follia.
Prima di chiedere un facile perdono, che sarà un'altra pietra miliare nella storia della tolleranza violenta di questo Paese, specie dopo il perdono e i tarallucci e vino per l'operaio bergamasco che lanciò il treppiede sul collo di Berlusconi appena cinque anni fa, quell'M.T. sparatore di statuine aveva detto la verità appena nascosta dallo squilibrio mentale: «Perché? Perché lo odio». E perché lo odia? Ve lo dico io, perché lo odia. Lo odia perché è ricco, perché ha infranto il sogno della presa di potere reazionario-plebea dei primi anni Novanta, perché è il nemico riconosciuto di tutte le ideologie fallite del secolo scorso, lo odia per i suoi pregi e per i suoi difetti, ma soprattutto per i propri difetti, per la propria vita frustrata e facile. Non lo sa che è per questo, ma è per questo che lo odia.
La facilità del tutto è lo scandalo. Chi ha mai pagato per la corrosione della civiltà, della creanza, del senso dell'onore nei modi personali e pubblici in questo Paese? Chi deve qualcosa a qualcuno, e in particolare allo Stato e alle sue regole, dopo che si sia sputtanato, calunniato, avvelenato in ogni pozzo dell'esistenza politica? È rozzo prendersela con gli avversari politici aperti del Cavaliere, bisogna scavare nel sottosuolo culturale italiano, capire come sono fatti i giornali e i messaggi televisivi, qual è l'ordito di linguaggio in cui siamo immersi dalla mattina alla sera, con il fulgido contributo, sempre più vanesio e ludico e impostore, della famosa rete, del web, della blogosfera.
La violenza è sempre il prodotto della notte della politica, di un tutto -è- permesso che addormenta la sensibilità civile e la responsabilità della ragione.
17 dicembre 2009
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