Il Faraone è accompagnato nell'al di là da Horus e Anubis
"Perché qui, nel suo bar, lei ha due fotografie dietro al banco, una la sua e l’altra quella di Gamal Mubarak, figlio del Presidente?”. "E’ il mio socio!", dice sorridendo il barista. La battaglia egiziana ha diversi attori, tutti interpreti importanti. Mubarak ha 83 anni; quindi c’è il problema della sua successione; si parla, da una decina di anni, del figlio Gamal, che il rais ha preparato alla funzione da quando era studente. E ciò non piace al sistema militare, vero padrone dello Stato; ma non piace neppure a tutte le altre componenti civili della società egiziana, salvo quella degli affari, ove egli imperversa, dalle grandi compagnie alle botteghe. Non piace neppure al mondo occidentale, a cominciare dagli americani, che preferiscono parlare con dirigenti politici o militari o espressione dei militari, tenuto conto della delicata situazione geo-politica egiziana. Quindi, no a Gamal Mubarak, pretendente alla successione e già a capo di una rete importante di interessi più o meno leciti.
Il 23 gennaio scorso, in Egitto, cristiani copti furono attaccati e ammazzati da fanatici islamisti. I “Fratelli Mussulmani”, considerati rete conservatrice e integralista religiosa, sono fuori legge. Ciononostante essi hanno un potere reale e forte nel popolo. Laddove lo stato non riesce ad arrivare, arrivano i “fratelli” , soprattutto nel “sociale”, scuola e salute. E hanno fama di onestà e di altruismo. Oggi i “fratelli” non sembrano mostrarsi disponibili a uscire allo scoperto, per combattere apertamente il potere; temono che i propri adepti entrino in contrasto violento contro il “sistema”, rischiando giustificate repressioni, altrettanto violente, capaci di dar loro un colpo mortale. Se la fratellanza scendesse formalmente in piazza, lo evidenzierebbero subito i numeri: le manifestazioni passerebbero da qualche decina di migliaia di partecipanti, a centinaia di migliaia. Le minoranze non si sentono più protette da Mubarak (e lo sentimmo tra i copti sopravvissuti alla strage del 23 gennaio), ma neppure le ali integraliste degli islamici possono sostenere chi le contrasta più o meno apertamente. Oggi copti e mussulmani marciano assieme al Cairo, se pur senza organizzazioni religiose formali.
Un chilo di carne al Cairo costa oggi un quinto dello stipendio mensile medio di un lavoratore. I beni alimentari di base hanno registrato aumenti che hanno impoverito milioni di persone, che si sono trovate rapidamente da ceto medio a ceto povero. E il ceto medio egiziano è fatto anche di molti diplomati o laureati. I “poveri” dunque (dai mendicanti, ai commercianti, ai funzionari ministeriali, agli studenti e ai professori) sono scesi in piazza.
Le forze armate egiziane sono la casta che dirige il Paese. Ci lavorano direttamente più di 700 mila persone e indirettamente qualche altro milione. Dopo la caduta del re Farouk nel 1952, le forze armate sono al potere; un potere, con parlamento che legifera, ma con i militari che decidono e comandano, anche sulla polizia. L’età del rais, i movimenti politici (Gamal Mubarak) e religiosi (copti-mussulmani), la situazione economica, con ineguaglianze sociali sempre più forti, probabilmente hanno spinto le forze armate a prendere decisioni sul loro futuro e su quello del Paese; e la piazza è stata così utilizzata. Bisogna vedere solo se i generali riusciranno a controllare i propri colonnelli; o se questi potranno o vorranno spazzar via tutti, i generali e il loro rais; fatto questo molto poco probabile, tenuto conto della struttura e del funzionamento del sistema militare egiziano.
Mubarak ha immediatamente nominato un suo vice; per 30 anni non lo aveva fatto; quindi il segnale è stato forte e chiaro; il figlio Gamal dovrà cercarsi un lavoro all’estero (non avrà problemi…); il nominato Omar Suleiman, già capo dei Servizi Segreti, di fatto è il designato alla successione dal sistema militare; egli sembra gradito a tutto il mondo occidentale, a cominciare dagli americani e da Israele (che sta sostenendo Mubarak, forse proprio per agevolare il suo allontanamento ). La prima mossa che ha fatto è stata quella di aprire il dialogo con la piazza; in sostanza ha impedito ogni repressione, accompagnando i manifestanti con i carri armati, conquistandone la fiducia. Sa benissimo che il dialogo non ci sarà, perché i manifestanti non hanno rappresentanti reali (la designazione di El Baradei sembra al momento più una auto-designazione che il mandato di qualcuno). E forse il suo piano sarà più semplice del previsto: accompagnare il popolo che protesta, cercando di preservare solo il patrimonio nazionale e i palazzi del “potere”; cominciare ad accompagnare Mubarak fuori dalla porta; accompagnare il Parlamento a lavorare con diversi partiti politici, cercando di controllarne la formazione e la loro espressione nella società; accompagnare la liberalizzazione religiosa (compito difficile, essendo stato egli a capo di tutte le repressioni contro gli integralisti); accompagnare una più equa ripartizione dei redditi e una liberalizzazione corretta del mercato, contro la corruzione delle oligarchie al potere (i militari sono considerati in Egitto una casta privilegiata, ma onesta).
Di fatto questo piano sembra anche il sottinteso delle recenti dichiarazioni di Hillary Clinton, per conto di Barak Obama; e, mentre Omar Suleiman veniva nominato, il capo di stato maggiore egiziano era già a Washington. Ora Suleiman dovrà armarsi solo di pazienza: i manifestanti sono alla fame; un giorno di sciopero per molti di loro e delle loro famiglie significa non avere da mangiare. D’altra parte la piazza avrà avuto una sua vittoria, con la partenza dei Mubarak, padre e figlio, con un progetto di nuove elezioni e con il potere ai militari che hanno accompagnato le loro manifestazioni. In una parola, Omar Suleiman dovrà passare dalla qualifica di “aggiustatore” (come lo chiamavano negli ambienti dei servizi internazionali) a quella di “accompagnatore”, che sembra oggi la più appropriata.
Pubblicato da "L' Occidentale" il 2/2/2011
Nessun commento:
Posta un commento