LO SCANDALO DEI MEDIA
Ucrainagate: era vera la corruzione dei Biden
Per aver fatto lo scoop sulle email di Hunter Biden, figlio dell'attuale presidente americano, il New York Post era stato bannato dai social network. Trump, che aveva chiesto al presidente Zelensky di investigare sugli affari loschi dei Biden, aveva subito il processo di impeachment. Tutto venne liquidato come "disinformazione". Ma era tutto vero, come ammette anche il New York Times.
Le mail di Hunter Biden non sono mai state “disinformazione”: è tutto vero, è stato tutto autenticato. È quello che, in queste ore, ha ammesso il New York Times riferendosi agli scandali che hanno coinvolto il figlio dell’attuale presidente Usa, già sotto inchiesta federale. Era una bomba. Il tipo di scoop che avrebbe potuto produrre mesi di titoli - e per di più, Hunter Biden non ha mai negato che il laptop fosse suo - ma tutto venne liquidato come disinformazione russa.
Fu il New York Post l’unico giornale a lanciare la storia, ma venne punito dalla Silicon Valley. Twitter chiuse l'account del Post per 16 giorni e impedì di condividere qualsiasi informazione sul figlio di quello che sarebbe poi diventato il presidente degli Stati Uniti d’America. Chiunque tentò di postare la storia vide i propri account bloccati. Facebook affermò candidamente che avrebbe “limitato la pubblicazione” del caso rendendo la condivisione impossibile. Il blocco fu efficace: parlare di Hunter Biden significava essere un teorico della cospirazione. Ora, a 14 mesi dall'inizio del nuovo corso alla Casa Bianca, il New York Post rivendica la rivincita con un editoriale dal titolo, “Il New York Times odia dirvi che il Post ve l’aveva detto”.
È necessario, però, un salto indietro di oltre 17 mesi, quelli che il Nyt ha impiegato per riconoscere la veridicità di una vicenda che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo. L’articolo del Post intitolato Biden’s secret Emails venne pubblicato ad ottobre 2020, nelle settimane cruciali dell’ultima campagna elettorale presidenziale. Circa 40mila e-mail e centinaia di foto erano state trovate su un computer che Hunter Biden aveva lasciato in riparazione in un negozio nel Delaware, e che non venne mai ritirato. L’inchiesta delineò l’intreccio tra le vicende familiari dei Biden, il percorso politico di Joe e le controversie internazionali di Hunter.
Ad essere interessante, infatti, non era solo il materiale che testimoniava l’utilizzo di droghe da parte del figlio dell’attuale presidente Usa e la sua frequentazione di prostitute. Ma la posta elettronica che rintracciava documenti relativi ad ingenti movimenti bancari e traffici d’influenza internazionale, che, nella maggior parte dei casi furono possibili per la posizione in cui Hunter si trovava grazie al ruolo del padre. Joe Biden avrebbe incontrato i soci d’affari ucraini, russi e kazaki di suo figlio a una cena a Washington Dc, mentre era vicepresidente. La conferma arriva proprio dal laptop abbandonato, ora in possesso dell’Fbi. La cena, tenutasi il 16 aprile 2015, si svolse nella “Garden Room” privata del Café Milano, Georgetown, dove si riuniscono gli uomini più potenti del mondo. E solo un anno prima, ad aprile 2014, la Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell'Ucraina (attiva sia su gas che petrolio), assume per una consulenza Hunter Biden con uno stipendio di 50mila dollari al mese.
Il figlio di Biden, nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze nel campo energetico, venne assunto pochi mesi dopo la decisione di Obama di affidare al suo vice il compito di seguire la transizione politica in Ucraina con il presidente Viktor Yanukovich costretto dalla rivoluzione del Maidan all’autoesilio in Russia per evitare la guerra civile. Sono i mesi in cui il Donbas - territorio ricco di giacimenti di gas non ancora esplorati e finiti nel mirino della Burisma Holdings - inizia a rivendicare l’indipendenza da Kiev. Una presenza in Ucraina, quella di Hunter, che a quanto scrisse il New York Times, suscitò “forti preoccupazioni” in Obama.
Il potenziale conflitto d’interessi affiora, però, solo nel maggio 2016. Joe Biden vola a Kiev per informare il presidente Petro Poroshenko che la garanzia di un prestito ammontante a un miliardo di dollari era stata approvata per permettere all’Ucraina di fronteggiare i debiti. Ma si trattava a tutti gli effetti di aiuto “condizionato”: se Poroshenko non avesse licenziato il procuratore capo, Viktor Shokin, nello stretto giro di sei ore, Biden sarebbe tornato negli Usa e l’Ucraina non avrebbe più avuto alcuna garanzia di prestito.
Argomentazione convincente, che costrinse Kiev ad accontentare l’allora vicepresidente con delega alla politica nell’ex Paese sovietico. Sarà lo stesso Biden a vantarsi di aver minacciato l’allora presidente ucraino Poroshenko, “Li guardai negli occhi e dissi, io parto tra sei ore, se il procuratore non è stato licenziato, non avrete i soldi. Beh, il figlio di pu****a è stato licenziato”. Shokin stava indagando sull’azienda nel cui board figurava Hunter.
In cinque anni, la posizione di consigliere di amministrazione presso la compagnia energetica ucraina è valsa a Hunter ben 4 milioni di dollari, compensi che nelle proprie memorie lui stesso ha definito: “soldi divertenti”. Il figlio di Joe Biden aveva già ottenuto, nel frattempo, un incarico presso il National Democratic Institute (Ned), un’organizzazione il cui fine è quello di “promozione della democrazia”, finanziata dagli Stati Uniti, che ha contribuito a rovesciare il governo filo-russo di Yanukovich insieme all’Open Society di George Soros.
Fu, invece, Tony Bobulinski, ex socio in affari di Hunter Biden, a denunciare gli affari dei Biden in Cina. Bobulinski dichiarò di essere stato contattato per concludere un affare con la compagnia energetica Cefc - grande azienda cinese legata al Partito Comunista. Il contatto sarebbe avvenuto alla vigilia di Natale del 2015, il 20% dei proventi sarebbe andato a Hunter Biden, il 20% a Jim Biden, fratello del vicepresidente. Stando ad un’email dello stesso Hunter Biden, il 10% della quota di Hunter Biden sarebbe toccato, però, al “grande uomo” - modo con cui veniva indicato il padre. Due anni dopo, Bobulinski racconterà di aver incontrato anche personalmente Joe Biden, ormai ex vicepresidente, sempre per l’affare con la Cefc.
L’Ucrainagate scoppia nel bel mezzo della campagna elettorale del 2020. E fece parecchio scalpore, specie sui media italiani, la richiesta di Trump al presidente Zelensky di aprire un'inchiesta nei confronti del figlio di Biden per chiarire i rapporti con la Burisma Holdings. Ma Trump finì solamente con l’essere accusato di pressioni per un vantaggio politico, venne chiesta la procedura di impeachment, e nessuna indagine sui Biden venne aperta dal governo ucraino.
Qualche mese dopo Joe Biden sarà eletto presidente degli Stati Uniti. È il dicembre 2020, il New York Times intervista Zelensky e gli chiede dell’esito delle presidenziali Usa: “Joe Biden conosce l'Ucraina meglio del suo predecessore. Anche prima della sua presidenza aveva, per così dire, relazioni profonde con l'Ucraina e comprende bene i russi, capisce bene la differenza tra Ucraina e Russia e penso capisca bene la mentalità degli ucraini”.