viaaaa!!!

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domenica 26 luglio 2015

Da Babilonia a Arezzo


De l'empia Babilonia, ond'è fuggita
ogni vergogna, ond'ogni bene è fòri,
albergo di dolor, madre d'errori,
son fuggito io per allungar la vita.
Francesco Petrarca Canzoniere 114

lunedì 20 luglio 2015

Centristi e movimentisti

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti

19 - 07 - 2015Marcello Inghilesi

La grande guerra fra pragmatici e movimentisti
Esistono ancora destra e sinistra? Comunisti e fascisti? Socialisti e liberali? Democristiani?  No, non esistono più: anzi forse esistono solo nella testa di qualcuno come “categoria” polemica di scontro, quando le argomentazioni finiscono.
Possiamo anche generalizzare; nelle democrazie occidentali, con il crollo del muro di Berlino, è andata via l’altra metà del cielo delle ideologie. Quelle rimaste si sono rattoppate, hanno fatto finta di esistere, hanno cercato riparo in alcuni gruppi di nostalgici; ma sono state spazzate via dal voto, ma anche dal non voto; il qualunquismo non è stato più considerato pericoloso. Il pericolo comunista svanito, di tutto il resto si può discutere o non discutere, “laissez faire” (anche se lascia fare- lascia fare, trovò la moglie incinta). Ha vinto il pragmatismo; la politica è la soluzione dei problemi emergenti di volta in volta, con chi ci sta; le soluzioni possono essere diverse, ma assolutamente non toccano il sistema: liberal-democratico-capitalista- mondialista. Il dirigente politico non dirige; è diretto dai sondaggi e dalle congiunture; non ha visione, ha solo vista e talvolta, purtroppo, neanche quella.
Si divide dagli altri sul potere e sulle scelte congiunturali, chiamando “grandi riforme” solo leggi e regolamenti, capaci di garantire il tran-tran del momento; e spesso queste divisioni cessano al minimo stormir di fronde. Il patto del Nazareno in Italia; Hollande che viene eletto in Francia contro madame la Finance europea e dopo tre mesi è a braccetto con la Signora, che ha cambiato cavaliere (Sarkozy è stato riconsegnato alla legittima Carlà); la Merkel che in Germania non ha vinto le elezioni e quindi si è dovuta alleare ai suoi oppositori socialdemocratici;  Cameron che ha vinto le elezioni su laburisti ormai quasi indistinguibili dai conservatori  e che indice referendum sull’Europa, in accordo con i laburisti; Obama che si dichiara l’erede di Reagan e Nixon; Putin tutto liberal nazionalista; i rivoluzionari gauscisti brasiliani, subito vendutisi alla grande e storica borghesia del Paese; i dittatori militari o borghesi;  e poi i nazionalismi e regionalismi, quasi tribali, dilaganti in tutto il mondo; insomma famiglie di idee e ideologie spazzate via. Per non dire di religioni vendute per ideologie socio-politiche, ora più che mai attuali e tragiche.
Al governo del mondo c’è il pragmatismo con gli uomini o donne del momento, che sono stati capaci di occupare il potere, grazie a  trucchi, congiunture, fati, empatie, teocrazie, ma non ideali, visioni proposte storiche. In sostanza  al governo di questo mondo c’è un “centro” borghese, che comprende tutti, pragmatisti e relitti di destra e sinistra e che vince e rivince, colorandosi in un modo o nell’altro (grandi differenze non si vedono).
La protesta, il non voto, l’insofferenza al “sistema”, sono considerati orpelli, palle al piede necessarie in democrazia; ma mai elevate a pari considerazione politica. Ecco forse qui il centro borghese di governo, da una parte o dall’altra che sia , si sbaglia. Per i numeri; i “movimentisti” (chiamiamoli così) cominciano a essere tanti e spesso tanti più di loro, contando la protesta di quelli che non vanno più a votare; e i “tanti” prima o poi contano (si vedano le recenti consultazioni spagnole).
Per il consenso : una volta i gruppuscoli erano considerati più che altro sognatori; ora i “movimentisti” parlano di cose concrete, di scelte e di riforme radicali, spesso anche opposte le une alle altre ; quindi riescono a trovare consenso tra la gente che non ne può più delle meline tra “centristi”, in un periodo difficilissimo che richiede misure radicali (quelle che una volta Riccardo Lombardi chiamava “riforme di struttura”). Per la novità: ci sono moltissimi giovani impegnati; ci sono bisognosi e arrabbiati ;  ci sono dei resti di ideologizzati; ci sono degli orgogliosi campanilisti , regionalisti, localisti; ci sono movimenti e non partiti, con maggiore elasticità , minore impegno e quindi con una buona dose di qualunquismo, che oggi piace, nella sostanza (anche se non piace sentirselo dire).
Questo movimentismo contro i centri di Governo, comincia a contare soprattutto in un’Europa sbrandellata; e in un sistema in cui le burocrazie e le eurocrazie contano sempre più, con i governi centristi, cerchiobottisti (nel pieno della crisi greca, i capi dell’ambiente di Bruxelles decisero che il bestiame europeo emetteva troppi gas nocivi e quindi avrebbe dovuto smettere; il rimedio non è chiaro; l’abbattimento degli animali? Tappi? Dieta?).
In conclusione: non c’è più una destra e una sinistra, con ideali e progetti ; c’è in sostanza una forza borghese centrista , rappresentata una volta dagli uni, una volta dagli altri e, alla bisogna, da destra-sinistra assieme; e poi c’è un movimentismo di protesta che comincia prendere potere (anche amministrativo), che si fonda su proposte “eversive”, da un punto di vista centrista,  pragmatiche e concrete. Ecco: il pensare che il movimentismo anticentrista sia neofascismo o neocomunismo o nazismo o razzismo, non è il massimo della comprensione della società attuale ; anzi : è proprio una stupidaggine.
Si sente la mancanza di idee, di ideologie, di visioni, di strategie nazionali e internazionali; di quella che una volta era chiamata Politica, con la pi maiuscola; e chissà che i movimentisti non arrivino a capirlo prima dei centristi.
Pubblicato da "Le formiche "il 19 luglio 2015

domenica 19 luglio 2015

Traffici in Grecia

da Le formiche     
Tutte le trame (tedesche) della commedia greca
15 - 07 - 2015Marcello Inghilesi

Tutte le trame (tedesche) della commedia greca
La questione greca è paradossale. Tutti sembrano esultare per l’accordo; come dire: viva la “pace”. Ma questo accordo non può funzionare, perché i due contendenti (Germania e Grecia) non possono che fregarsi a vicenda; con gli altri intorno che, disarmati, fanno finta di non vedere.
La Germania cerca di raggranellare più soldi possibili dalla sua esposizione creditizia con la Grecia; sa che non sarà dal pil greco che questi soldi le ritorneranno; e quindi punta ai 50 miliardi previsti per le privatizzazioni (il calcolo dei 50 sembra un po’ astruso; ma insomma…). Poiché entreranno nel privato alcuni settori strategici per la Grecia (telecomunicazioni e trasporti, tra l’altro), la Germania forse spera di essersi anche conquistata uno sbocco al mare nel Mediterraneo. Per i tedeschi l’alternativa sarebbe stata il nulla; perdere i propri crediti e soprattutto spaccare la propria Europa. Gli argomenti della cancelliera Angela Merkel per il suo Parlamento dovrebbero essere più che convincenti.
Alexis Tsipras farà più fatica a convincere i suoi; forse non il suo Parlamento, poiché potrà racimolare voti dalle sue minoranze filo-europee; ma la sua maggioranza sembra già spaccata. Potrebbe ricucirla, spiegando dove potrà stare il trucco. Gli hanno detto che il Paese “monetario” è alla canna del gas; o entrano risorse dall’estero o i soldi in banca sono ormai finiti; e quindi il fallimento è in Grecia, prima che con gli altri Paesi. C’è sempre il dubbio che il convento sia povero e i frati ricchi, come diceva Rino Formica sui partiti politici, a cominciare dal suo. In effetti l’economia a nero in Grecia è enorme, tanto da non poter essere neppure immaginata (le cifre in proposito sono solo opinioni). Ma le banche sembrano essere ormai quasi vuote (non a caso sono chiuse).
In questa situazione Tsipras ha scelto la sopravvivenza: primum vivere deinde philosophare. Avere soldi il prima possibile da mettere in banca. Ma una cosa sembra sicura, stando alle cifre: che la Grecia non potrà restituire gli euro che si stanno cumulando nel suo debito estero; se le va bene ci dovrà convivere; se le va male, tra poco, si riaprirà la questione Grecia-Euro-Europa. Con fatica lo Stato è arrivato ad avere un avanzo primario leggermente positivo. Ma, qualsiasi cosa si inventi, non sarà mai così positivo da poter ripagare gli interessi cumulati, col debito. La triade lo sa benissimo e ha cercato solo di limitare il danno. Tsipras ha fatto lo stesso e ha rinviato la partita.
Si salva ora. Si destreggerà per non avere troppi danni su privatizzazioni, su eccessive intrusioni estere nella propria politica economica, su tasse smisurate, capaci di impedire qualsiasi accenno di sviluppo e si prepara al futuro. Quale? Dentro a questo “sistema” è condannato, senza alcuna via di uscita (a meno di un forte azzeramento del debito estero, per calcolo politico dei suoi creditori “pubblici”). Può tentare di creare un altro “sistema” e materia per lavorarci ne ha, essendo i confini del mondo sempre più vicini e le economie sempre più internazionalizzate. Chissà che non abbia in testa un trucco, un disegno per questo nuovo “sistema”. Bisognerà vedere anche e soprattutto se il popolo greco vorrà stare, ora e nel futuro, con questa Europa oppure no.
François Hollande ha celebrato il suo 14 luglio, festa nazionale, inneggiando a questo accordo dell’Europa con la Grecia, grazie soprattutto al suo lavoro di intermediazione. C’è veramente da festeggiare? O in realtà hanno fatto tutto “in scienza e coscienza”.

lunedì 6 luglio 2015

La Grecia


Articolo da "la terra di nessuno"5 LUGLIO 2015
DI VALERIO BRUSCHINI

Ricordando Omero e la battaglia di Maratona, io sto con la Grecia.
Ricordando Omero, il cantore cieco ed immortale della guerra di Troia;
ricordando la battaglia di Maratona, ove 10.000 Ateniesi
e 1000 Plateesi sconfissero i Persiani innumeri;
ricordando le Termopili, ove i 300 Spartani di Leonida,
insieme ai Tespiesi ed ai Tebani, morirono sul posto,
divenendo immortali, per bloccare lo sterminato esercito persiano;
ricordando la battaglia di Salamina, ove la flotta greca
distrusse quella persiana, vendicando Atene, data alle fiamme;
ricordando l’Impero Bizantino di lingua e cultura greca;
ricordando la lunga, 1821-1829, e sanguinosa Guerra d’Indipendenza
contro l’Impero Ottomano, quando Santorre di Santarosa e Lord Byron,
Europei di altro stampo, andarono a morire per la Grecia immortale;
ricordando la Gloriosa Resistenza contro il Nazifascismo,
infernale oppressore, ma dichiarato e non celato dietro il falso Dio del Libero Mercato;
ricordando Panagulis, gli studenti del Politecnico di Atene e tutte/i coloro
che combatterono contro l’infame Dittatura dei Colonnelli, 1967-1974,
quando l’Europa “democratica” finse di non sentire e di non vedere:
“Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il Russo, imparare il Bulgaro, la libertà di stampa, l’Enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Čechov, Gorki e tutti i Russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in Greco antico”
(Voce narrante da “Z – L’orgia del potere”),
quando gli Stati Uniti confermarono la loro “intima vocazione democratica”:
“L’ambasciatore USA ad Atene, Phillips Talbot, disapprovò il complotto militare, affermando che esso rappresentava “Uno stupro alla democrazia”, al che il responsabile della CIA ad Atene, Jack Maury, rispose:
“Come è possibile stuprare una puttana?”;
ricordando tutto questo e molto altro ancora,
IO STO CON LA GRECIA.

Ricordando Saffo ed i suoi amori;
ricordando Pindaro ed i suoi voli;
ricordando Eschilo, che cantò Prometeo, il Titano ribelle a Zeus per amore degli umani;
ricordando Sofocle, “che accecò” Edipo, per aprire gli occhi ai mortali;
ricordando Euripide, che cantò le Troiane, per illustrare il destino delle donne di un Paese sconfitto;
ricordando Aristofane, che affidò il Parlamento alle donne;
ricordando Socrate, Protagora, Gorgia, Platone, Aristotele;
ricordando Erodoto e Tucidide;
ricordando Fidia l’artefice del Partenone;
ricordando Prassitele e la sua Afrodite;
ricordando l’immortale Atene del V Secolo,
che, nel corso del Tempo, incivilì la barbara Europa;
ricordando Kavafis, l’ “Egizio”, che eternò la Grecia di ogni tempo;
ricordando tutto questo e molto altro ancora,
IO STO CON LA GRECIA.

E se, in questo 5 di Luglio di un’epoca sconsacrata,
poiché tutta la progenie dei numinosi Iddii
dell’Olimpo è stata esiliata,dovessero vincere gli gnomi di una finanza
senza volto, senza Storia e senza dignità,
IO STO CON LA GRECIA
ugualmente,
perché ha resuscitato quella Democrazia,
che lì nacque e che i loschi sacerdoti del Dio Mercato
avevano immolato sull’altare dell’immondo Profitto,
perché le sole battaglie perdute
sono quelle che non vengono combattute,
perché non la vittoria deve essere la bussola,
ma la Giustizia, Dike, dicono i Greci.

Germania e soldi

 

Quando la Germania era un debitore flessibile

23/02/2015  di Vincenzo Comito        
Tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco ha fatto default o ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte
È ben noto come la Germania abbia assunto un atteggiamento intransigente sulla questione del debito pubblico all’interno dell’eurozona e come essa tenda a spingere duramente perché i vari paesi adottino, per risolverlo, delle strette politiche di austerità, politiche che peraltro rischiano di uccidere il malato. Ne abbiamo avuto ancora una riprova con l’attuale crisi greca; nel corso dei negoziati i responsabili del paese teutonico sono stati i capifila e i portabandiera del partito dell’intransigenza, sino ad arrivare all’insulto verso un governo democraticamente eletto.
Ma da diverse parti, negli ultimi tempi, si tende a sottolineare come in passato il paese non sia stato quel campione di virtù che oggi cerca di apparire; in effetti, alcuni studiosi si sono chiesti quale sia stato in concreto, nel corso del tempo, il curriculum di tale paese sulla stessa questione ed hanno trovato degli elementi interessanti.
Si può cominciare ricordando come, certo, la gran parte dei paesi in tutte le regioni del globo sia passata attraverso una o più fasi di default, o comunque di ristrutturazione del proprio debito, nei confronti dei prestatori esteri, ma anche come la Germania sia stata tra i più assidui ad incappare in tale problema.
Apprendiamo così (Reinardt & Rogoff, 2009) che tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio lo stato tedesco, in effetti, ha fatto default o ha ottenuto degli alleggerimenti dei suoi debiti ben otto volte nel periodo, come del resto la Francia e contro una sola volta per l’Italia e cinque per la Grecia. Va peraltro riconosciuto che i campioni europei in questo sport sono stati gli spagnoli, con ben tredici volte. I tedeschi hanno comunque conquistato un brillante secondo posto a pari merito con il paese transalpino.
La rivalità franco-tedesca e le riparazioni dopo la grande guerra
In un certo senso, la Germania ha cercato di sottoporre la Grecia allo stesso trattamento inflitto alla Francia dopo la guerra franco-prussiana del 1870, quando i cittadini transalpini, dopo la veloce sconfitta, furono obbligati a pagare un grande volume di danni di guerra, 5 miliardi di franchi, pari al 20% del pil di allora del paese; esso dovette inoltre cedere l’Alsazia, una parte della Lorena e dei Vosgi, ai vincitori, che comunque occuparono una vasta area della Francia sino a che non fu effettuato l’intero pagamento del debito, ciò che avvenne, con molta solerzia, nel 1873. Sempre i francesi furono inoltre obbligati a concedere ai nemici la clausola della nazione più favorita.
E viene la prima guerra mondiale. Come è noto, questa volta, alla fine, si rovesciano le parti, la Francia si trova nel rango dei vincitori e la Germania invece in quella degli sconfitti.
L’obiettivo fondamentale del primo ministro francese del tempo, Georges Benjamin Clemenceau, fu allora quello di vendicarsi della sconfitta del 1870 e di annullare praticamente i progressi economici fatti dalla Germania dopo quella data. Egli riuscì ad imporre rilevanti perdite territoriali al paese nemico e cercò parallelamente, nella sostanza, di distruggere, o quantomeno di danneggiare al massimo, il suo sistema economico.
Ecco che lo statista francese riesce ad imporre alla Germania anche il pagamento di danni di guerra molto ingenti. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti si accodarono alla fine alle richieste dell’alleato.
Il problema finanziario che si poneva era comunque abbastanza complesso. Da una parte stavano i prestiti interalleati fatti prevalentemente per acquistare le armi e gli equipaggiamenti relativi (la Gran Bretagna aveva preso a prestito dagli Stati Uniti, la Francia dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti), dall’altra il problema delle riparazioni tedesche a Francia e Inghilterra. Le somme in gioco erano enormi: i debiti interalleati erano stimati in circa 26,5 miliardi di dollari, la gran parte dei quali dovuti agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, mentre la commissione per le riparazioni del 1921 fissò in maniera definita, dopo vari summit preliminari che andavano più o meno nello stesso senso, il debito della Germania in 33 miliardi di dollari, la gran parte dovuti a Francia ed Inghilterra (Aldcroft, 1993). Tali riparazioni avrebbero dovuto essere regolate in rate trimestrali a cominciare dal gennaio del 1922.
Mentre la Francia legava le due questioni, dichiarando che il paese avrebbe ripagato i suoi debiti quando gli sarebbero stati versati i proventi delle riparazioni, la Gran Bretagna e gli Usa avevano chiaro che gli indennizzi non potevano superare certi limiti.
I dubbi di Keynes e i vari tentativi di ristrutturazione del debito
Nel 1919 Maynard Keynes aveva 36 anni e aveva partecipato alla conferenza di pace come rappresentante del governo inglese per le questioni finanziarie. Ma egli si dimise presto, essendosi trovato in totale disaccordo con l’impostazione che gli alleati stavano dando alla sistemazione dell’Europa dopo la guerra.
Egli pubblicò così subito dopo “Le conseguenze economiche della pace”, un saggio molto polemico contro la follia della “pace cartaginese” che i vincitori della guerra stavano, a suo dire, imponendo alla Germania. Le riparazioni avevano un onere finanziario, affermò l’autore, che la Germania non era in grado di sostenere (egli calcolò a questo proposito che il paese avrebbe potuto restituire, grosso modo, solo un quarto della somma stabilita) e previde lucidamente che le conseguenze del trattato di pace sarebbero state molto dannose per il futuro del continente.
I tedeschi cominciarono a versare le prime rate, ma nel corso del 1922 la situazione economica del paese si deteriorò rapidamente, con l’accelerazione dei processi di inflazione e di svalutazione della moneta; i tedeschi chiesero dunque una moratoria dei pagamenti, ma essa fu loro negata. Ma la Germania non era più in grado di pagare (Aldcroft, 1993) e, comunque, non fece nessuno sforzo per tentare.
Nel gennaio del 1923, i francesi e i belgi, di fronte al fatto che i tedeschi non pagavano le somme richieste, decisero di occupare la Ruhr. Ma tale mossa concorse a completare il collasso economico e finanziario della Germania.
Si stabilì, a questo punto, di convocare una conferenza internazionale, che si tenne a Londra nel 1924 e che diede origine al piano Dawes, dal nome del presidente della conferenza, un banchiere americano. Secondo questo piano, la moneta tedesca avrebbe dovuto essere stabilizzata dopo l’enorme livello raggiunto dall’inflazione e le truppe francesi avrebbero dovuto essere ritirate dalla Ruhr. Un flusso di aiuti americani alla Germania avrebbe permesso a quest’ultima di rimborsare i suoi creditori. L’importo totale dei debiti della Germania veniva lasciato quale fissato nel 1921, ma venivano allungati i tempi di pagamento.
Così nel periodo 1924-1930 la Germania prese a prestito soprattutto dagli Stati Uniti circa 28 miliardi di marchi e ne restituì ai paesi alleati come danni di guerra circa 10,3 (Aldcroft, 1993).
Ma, quando nei tardi anni venti, i prestiti statunitensi smisero di arrivare e molte banche straniere richiesero la restituzione di prestiti precedenti, la situazione si fece di nuovo difficile.
Un ulteriore accordo venne così negoziato nel 1929; era il piano Young, dal nome di un altro plenipotenziario statunitense. Il piano proponeva ormai una riduzione del totale del debito tedesco e degli importi da pagare annualmente.
La situazione economica internazionale intanto non fece funzionare l’accordo che per due anni. Nel 1931 la moratoria Hoover sospese per un anno i pagamenti, ma di fatto si trattò di una moratoria definitiva.
Alla fine gli Stati Uniti avevano ricevuto in restituzione dagli alleati circa 2,6 miliardi di dollari, contro crediti per prestiti ed interessi di 22 miliardi. La Francia a sua volta aveva ricevuto in pagamento dalla Germania circa un terzo dell’importo stimato dei danni di guerra (Aldcroft, 1993).
Le riparazioni dopo la seconda guerra mondiale
E viene poi la seconda guerra mondiale. Anche in questo caso, dopo la fine delle ostilità, si trattava di sistemare la questione delle riparazioni.
La conferenza di Postdam nell’agosto del 1945 fissò subito il principio delle restituzione dei danni di guerra e un accordo di base in proposito venne ipotizzato per le zone occidentali del paese nel 1950. Intanto era stato avviato il piano Marshall, con il quale gli Stati Uniti concessero al paese rilevanti somme di denaro per far ripartire la loro economia.
Furono gli Stati Uniti a guidare tutta l’operazione dei risarcimenti nel 1953, consci che fosse necessario aiutare la ripresa della Germania e dell’Europa dopo una guerra devastante, evitando di commettere gli stessi errori del primo dopoguerra. Pesava fortemente, peraltro, anche la volontà degli Stati Uniti di fare della Germania Occidentale un baluardo contro il blocco sovietico.
Così nell’agosto del 1953, dopo trattative durante diversi mesi, ventuno paesi firmarono a Londra un trattato, noto come London Debt Agreement, che consentì alla Germania di suddividere la questione in due parti. La prima corrispondeva ai debiti accumulati fino al 1933, stimati in 16 miliardi di marchi; fu consentito di rateizzare il loro pagamento in 30 anni, a tassi di interesse molto bassi, ciò che equivaleva alla pratica cancellazione dello stesso. L’altra parte, corrispondente ad altri 16 miliardi di marchi e che faceva riferimento ai debiti dell’epoca nazista e della guerra, avrebbe dovuto essere ripagata, secondo modalità da concordare, dopo l’eventuale riunificazione del paese. Ma nel 1990, a processo di unificazione concluso, il governo tedesco si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, a ragione in particolare dei costi che sarebbero stati necessari per risollevare economicamente la parte est del paese.
In ambedue le occasioni tra i creditori c’era anche la Grecia, che dovette accettare molto a malincuore tali decisioni.
La stessa Grecia ha sollevato a più riprese, ma invano, la questione dei danni di guerra subiti da parte della Germania. Tra l’altro, in effetti, nel corso delle vicende belliche il paese, occupato dai tedeschi, era stato costretto a prestare al Reich 476 milioni di reichsmark senza interessi. Tale somma corrispondeva ormai nel 2012, secondo alcuni calcoli, a circa 14 miliardi di dollari e a circa 95 miliardi se si calcolavano anche degli interessi al tasso molto ragionevole del 3% annuo. A fine 2014 la cifra totale dovrebbe aver superato i 100 miliardi di dollari.
La Germania si rifiuta a tutt’oggi di prendere in considerazione l’intera partita.

Testi citati nell’articolo
-Reinardt C. M., Rogoff K. S., This time is different, Eight centuries of financial follies, Princeton University Press, Princeton, N. J., 2009
-Aldcroft D. H., The european economy 1914-1990, Routledge, Londra, 3a ed., 1993