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martedì 21 ottobre 2014

Guerre e mondializzazione

Mai più una guerra mondiale” tutti gridarono sulle macerie, con più di 70 milioni di morti, alla fine degli anni ’40. Già, oggi ci sono 64 Stati in guerra, con 584 organizzazioni belligeranti (dal sito “guerre nel mondo”). Fu fatta l’ONU, per evitare altre guerre; è diventato un carrozzone di carnevale, pieno di costose figure di cartapesta. In apparenza la causa più frequente di queste guerre sembra essere l’integralismo religioso islamico, con le sue dottrine interne, in particolare sunniti contro sciiti o viceversa.
Parentesi. Maurice Sartre in un suo recente libro sostiene che “…il monoteismo ha creato l’integralismo religioso… i monoteismi si basano su testi ispirati da Dio o addirittura da Lui stesso consegnati, con il divieto assoluto di ridiscuterli, pena il sacrilegio…”; anzi bisogna convertire gli altri, gli infedeli, al proprio Dio, con la missione della parola o della forza. Solo il giudaismo poi ha ripiegato sulla conversione di tutti “alla fine dei tempi”. I politeismi antichi invece si fondavano su miti dai contorni mobili, mai origine di guerre missionarie; anzi molti “dei” venivano adottati da confessioni diverse. Chiusa parentesi.
Oggi la religione sembra usata come arma di guerra negli scontri economici e finanziari dei grandi processi di mondializzazione in atto. Ci sono molte confusioni di armi , fornite e rifornite (senza munizioni le armi servirebbero a poco) per un fine e usate per il fine opposto. Armi occidentali date contro Assad in Siria (probabilmente per rompere il fronte sciita Iran-Siria) si sono ora ritorte contro gli occidentali, in una spirale sunnita integralista tesa a conquistare anche l’Irak, oggi, e forse i Paesi dei sunniti moderati, Arabia Saudita ed Emirati, domani. Oppure potrà essere il contrario; i sunniti moderati, usati gli integralisti per sbarazzarsi di sciiti scomodi, poi elimineranno i loro mercenari per la creazione di una immensa area sunnita. Per non parlare degli effetti su altri popoli di quelle regioni, come i curdi, i turchi, i libanesi; senza contare il cuore delle religioni monoteiste, Gerusalemme e Israele. In poche parole si tratta di una guerra lunga, lunghissima; anche perché essa si è estesa a macchia d’olio in molti Paesi africani, aree “di moda” negli interessi economici internazionali.
Prima della mondializzazione queste guerre potevano essere definite “regionali” o “nazionali”; e ce ne sono ancora di questo tipo tra i cosiddetti conflitti indipendentisti. Ma quelle prevalenti rientrano nei processi di sviluppo della mondializzazione economica. E in questo senso possono essere considerate guerre mondiali, perché non possono essere risolte “in loco”; con armi, denari, risorse e addirittura mercenari prelevati dalla povertà della emarginazione metropolitana o del sottosviluppo e, a quanto si dice, ben pagati materialmente e “spiritualmente”: tutto ciò con risorse internazionali, a copertura di affari internazionali, che sembrano seguire la rituale logica del “divide et impera”.
In conclusione, la mondializzazione economica contiene in sé anche un germe di guerra, che, se pur locale, ha implicazioni e conseguenze mondiali. Lo strumento più usato è la religione, ma anche il fanatismo, l’estremismo della miseria e ove possibile, il nazionalismo o regionalismo di comodo. Una mondializzazione, dunque, per certi aspetti pericolosa; dalle grandi guerre calde e poi fredde dei secoli scorsi siamo passati alle microguerre diffuse, dagli effetti internazionali e a volte mondiali. Che fare? Disarmare; mettere tutte le armi, le loro produzioni, i loro commerci, i loro movimenti, sotto un controllo internazionale molto rigido. Roberto Benigni un giorno sostenne che se la gente voleva fare la guerra, la doveva fare a manate, così le guerre sarebbero finite: forse ridurre tutto a manate non sarà possibile; ma assistere impotenti al maneggio di mitra, bazooka, missili e quant’altro, con pezzi di ricambio, accessori e assistenza continua, sembra un tantino paradossale, quasi che il tutto avvenga per destino… divino.
Marcello Inghilesi

Pubblicato da Le Formiche il 21 ottobre 2014

mercoledì 15 ottobre 2014

Un alluvione burocratica


Ecco i veri colpevoli dei disastri in Liguria

15 - 10 - 2014Marcello Inghilesi
Ecco i veri colpevoli dei disastri in Liguria

Mancano i soldi e la burocrazia ha bloccato gli interventi già deliberati; questi i motivi che sembrano all’origine di molti dei disastri di Genova.
Cerchiamo di non scomodare le responsabilità del Signore per il cattivo tempo e dell’uomo per l’incuria dei sistemi e degli equilibri idrogeologici. Vediamo, invece, nel concreto perché Genova è stata colta, almeno in parte, impreparata all’appuntamento con il destino di una nuova alluvione.
Nel 2012 sono stati appaltati lavori per l’allargamento delle volte sotterranee del Bisagno, per 35 milioni di euro; il Bisagno, come noto, è ed è stato all’origine di gran parte degli allagamenti e delle inondazioni di Genova. Alcune imprese, che hanno perso l’appalto, hanno fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, TAR; poi al Consiglio di Stato; poi ad un altro TAR; e così via. I lavori non sono stati fatti.
E’ ormai prassi comune tra le imprese quella di ricorrere al TAR, una volta perso un appalto; e questa consuetudine è fonte di dubbi e sospetti. Qualcuno era uso dire che ogni firma pubblica (ma anche privata) può trasformarsi in una occasione di corruzione. Certo è che gli appalti pubblici non possono continuare così, in un avvitamento perverso di leggi, regolamenti e procedure, che si trasformano in tempi lunghi o lunghissimi e in occasioni per malaffare. Le imprese trovano occasione per scorrettezze, come ricorsi ricattatori o accordi di dubbia liceità (“se tu ritiri il ricorso, io non mi presento alla prossima gara di tuo interesse” o argomentazioni del genere).
Non risulta per niente chiaro alla gente che lavora perché l’esame, da parte di un magistrato, di una gara conclusa e documentata, richieda tempi biblici per un giudizio di sua correttezza “formale”. L’esame contabile-amministrativo di un’impresa, anche complessa, per un esperto del settore non richiede quasi mai più di una settimana; perché mai l’esame formale di un giudizio già espresso da una commissione, dovrebbe richiedere più tempo? Ci sono anche delle priorità di cui tener conto, quando si hanno tra le mani decisioni sensibili da prendere; e Genova è ed era argomento ultra-sensibile, da trattare con procedimenti “per direttissima”.
Gli amministratori locali, infine, che avevano deciso molto rapidamente per questi lavori (anche se con “bandi di gara”, ritenuti malmessi), si sono fermati, secondo le procedure di Legge. Potevano andare avanti, ma a loro rischio e pericolo personale, esponendosi ad eventuali interventi sanzionatori di un altro Tribunale amministrativo, quello della Corte dei Conti. Ciò che non trova alcuna giustificazione invece, è il silenzio di questi amministratori nelle loro diverse sedi e funzioni; i giudici perdono tempo? E loro urlino le urgenze, i pericoli e le necessità della propria gente, senza aspettare doni divini dalla meteorologia (le letterine di sollecito tra “compagni” non contano).
Questo imbroglio di responsabilità deve servire ormai da lezione. Sembra che la “politica” abbia capito; ancora una volta aspettiamo dunque che alle parole e alle promesse seguano i fatti.

Le Formiche 15 ottobre 2014

lunedì 6 ottobre 2014

Debray vs Germania




La Francia non rispetta il patto di stabilità europeo. Può essere l’inizio di un profondo cambiamento dell’ Unione Europea o tutto procederà come prima, con il dominio della Germania su Paesi che arrancano o che ormai si sono lasciati “sottomettere”?

Ci possono essere alcune considerazioni preliminari da tenere presenti.

L’ Euro è una moneta complicata, creata per facilitare l’integrazione, ma che sembra aver ottenuto l’effetto contrario. In concreto non pare governabile. Rappresenta realtà economico-sociali radicalmente diverse. Ha un valore di mercato che tende a premiare le sue aree ricche e a penalizzare a quelle povere (per esempio si dice che rispetto al dollaro dovrebbe valere 1.50, per soddisfare gli interessi tedeschi e 1.00 per quelli italiani, essendo partito da 1.00 e oscillando oggi su 1.25, dopo aver toccato anche 1.57). Ha infine regole troppo rigide per consentire politiche economiche autonome di 18 Stati così diversi.


I debiti pubblici si sono fortemente internazionalizzati e quindi molti Paesi tendono a vivere sotto tutela finanziaria “straniera”.
Da quando circola l’Euro, paradossalmente sono esplosi nazionalismi e sciovinismi, fino ad allora sopiti o sconosciuti.
Regis Debray scrisse nel 2010 “Eloge des frontières”, un libro nel quale da “sinistra” vedeva come unica via di uscita della mondializzazione, per lo sviluppo e la pace, la gestione delle frontiere come “porte” aperte, ma sempre “porte”. Secondo Debray i popoli possono progredire solo nel rispetto reciproco delle loro specificità; e quindi delle loro tradizioni, culture, valori, religioni. Debray arriva a rivendicare l’orgoglio del passaporto, come presentazione di una identità: anche in Europa. Queste tesi devono essere lette contro l’ Europa o contro questa Europa?
La Francia ha dunque violato i patti europei, lanciando anche un messaggio semplice, ma difficilmente digeribile in Commissione; prima gli interessi nazionali e poi quelli europei. Dietro a questa posizione ci sono anche pasticci politici interni al Paese. Ma questa decisione costituisce un precedente (anche se non il primo) per gli altri 28 Paesi dell’Unione (sulla quale sempre Debray pensa “…La miseria mitologica dell’effimera Unione Europea, che la priva di ogni affectio societatis, deriva in ultima analisi da ciò che essa non vuol sapere e, ancor peggio, da quello che non vuol dichiarare: da dove essa cominci e dove essa finisca…”).
Ora ognuno potrà violare i patti o urlare per il loro rispetto, con prove di forza tecnico-burocratiche (sanzioni della Commissione), di significato politico (interesse della gente) pressoché nullo. E allora? Tutte le lotte e le incomprensioni si sposteranno in Commissione? La Francia ha il commissario alla Economia; ma la Germania ha voluto due vicepresidenti di fiducia che dovrebbero controllarlo; e ha anche un grande peso sul presidente stesso e sugli alti burocrati dell’ istituzione.
In conclusione la sfida francese non è di poco conto. Difficilmente tutto potrà tornare come prima; quindi o la Commissione pretenderà il rispetto degli accordi e imporrà sanzioni alla Francia, con la quale si schiereranno molti Paesi poveri dell’UE, a cominciare dall’ Italia; oppure si faranno nuovi patti, tesi a risolvere i problemi dell’integrazione finora quasi tutti lasciati aperti (la lista delle integrazioni dovute e non risolte è ormai un dizionario, in campo sociale, economico e giuridico); e tesi anche a tracciare una linea a denominatore comune per lo sviluppo.
Questo avverrà in un momento, in cui ci sono le tesi filosofiche affascinanti di Debray, ma anche quelle nazionalistiche e regionalistiche crescenti, nelle politiche di tutti i Paesi; e c’è un euro che non accontenta nessuno; neppure la Germania che lo domina.

Marcello Inghilesi
Le Formiche 6 ottobre 2014

venerdì 3 ottobre 2014

Merkhollande

François Hollande, presidente francese, ha deciso di non rispettare i “patti” dell’Unione: vuole sforare - e non di poco- il fatidico rapporto deficit-pil . Al di là delle cifre, quale è il messaggio ? Ce ne sono diversi .
Hollande, in sostanza, aveva fatto un accordo con la Merkel per “dirigere”l’ Unione Europea ; e questo nonostante il suo impegno elettorale del 2012 ad andare contro i poteri finanziari europei, di interesse prevalentemente tedesco ( il mio avversario in queste elezioni non si chiama Sarkozy, ma “madame la finance” era uno dei suoi slogan ). Invece dai sorrisini Sarkò-Merkel siamo passati subito a quelli Hollande-Merkel. Ecco, adesso forse questi sorrisini non ci saranno più. Anche perché i sondaggi francesi danno gli anti-europei e gli euroscettici a più del 70% e la fiducia sul presidente Hollande al 12-13 %!
Poi c’ è il problema socialista . Sono già cominciate le manovre per le prossime elezioni presidenziali. Allo stato attuale i possibili prossimi candidati sono lo stesso Hollande, il suo primo ministro Valls e Martine Aubry , sindaco di Lille e figlia di Delors, già presidente della Commissione Europea ( chissà perché la Delors ha voluto chiamarsi in politica col nome del marito ; forse per distinguersi da una tradizione di oligarchie familiari e simili , molto praticata tra i socialisti francesi). Per smarcarsi dalla europeista convinta Aubry , dunque, i primi due devono dare segnali forti contro la Unione Europea.
Infine, sempre nel quadro delle prossime elezioni presidenziali, c’è il problema Marine . La Le Pen ha teso ad allontanarsi dal linguaggio vetero-fascistoide del padre e sta guidando il Fronte Nazionale per una strada politica democratica , nazionalista ( contro l’immigrazione incontrollata) , popolare (per trovare soluzioni ai bisogni dei più poveri e alle esigenze dei ceti medi ) e per un sistema produttivo made in France ( sostegno alle piccole e medie imprese del Paese). Il FN è ovviamente contro questa Unione Europea e questo Euro. Alle ultime elezioni europee è così diventato il primo partito di Francia, con circa il 25 % dei voti. Hollande sa dunque che alle prossime presidenziali i candidati in lizza non saranno due ( Destra e Sinistra ) , ma tre ,perché il Fronte Nazionale giocherà un ruolo da protagonista.. I sondaggi attuali ritengono altamente probabile che la Le Pen vada al ballottaggio ; gli stessi sondaggi danno vincente il candidato di Destra contro la Le Pen, ma sono fortemente incerti sull’esito di uno scontro tra Marine e Hollande. Quindi Hollande ha assoluto bisogno di voti euroscettici, anche se allo stato attuale è molto poco probabile che sia lui il prossimo candidato presidente dei socialisti .

Marcello Inghilesi
Pubblicato da Libero il 3 ottobre 2014